Le
fotografie scattate da Leonardo Sciascia negli anni Cinquanta sono presentate
per la prima volta al pubblico italiano in questo agile librino ben curato da
Diego Mormorio, studioso di antropologia culturale, esperto di storia della
fotografia e grande amico del maestro siciliano.
Sciascia
è stato un profondo appassionato del tema, che gli ha sollecitato diversi
contributi, tra cui il saggio Verismo e fotografia, la prefazione al
volume Capuana, Verga, De Roberto fotografi, l’articolo Il ritratto
fotografico come entelechia a introduzione della mostra torinese Ignoto
a me stesso, tenuta alla Mole Antonelliana nel 1987, di cui fu
curatore. Una fascinazione derivante soprattutto dalla resa del soggetto umano,
con le sue espressioni, l’ineffabile richiamo dello spazio e del tempo che lì
viene suscitato, l’idea ossessiva e pure mutevole della “persistenza della
memoria”. Al punto da suggerire allo scrittore l’idea di un aleph per l’obiettivo
fotografico: «Borges ha esplicitamente inventato [l’aleph] come magica
contrazione dello spazio e che implicitamente è, in tutta la sua opera,
sortilegio di contrazione del tempo, sul punto della dissolvenza e dell’oblio:
e appunto perciò investito da un estremo fulgore. […] Tra le cose magiche che
senza magia conosciamo, non si può conferire all’aleph una qualche analogia con
l’obiettivo di una macchina fotografica?».
Sulla
china di un simile incantesimo Sciascia ricorda fra stupore e ammirazione
artistica le strane imprese di Luigi Capuana, autore verista che volle
confrontarsi col mezzo quando ancora la sua pratica mostrava limiti tecnici di
non poco conto. Acceso seguace del vero, dell’arte come strumento per
raccontare la realtà, è singolare che per lui la fotografia rappresentasse una
fuga verso il mistero, se non l’invisibile. Volle essere immortalato disteso
su un cataletto funebre, sdrammatizzando così il momento della morte, e si sa
che non disdegnasse di prender parte a sedute spiritiche, nel tentativo di
catturare fantasmi e altre presenze. Un personaggio in cui il nostro letterato
vede spinto alle estreme conseguenze «il piccolo dramma metafisico» fulcro di
umana inquietudine come poche, ossia il disagio, la vertigine di fronte al
senso del tempo, la sua insuperata dicotomia che lo fa elemento tangibile e
oltremodo labile.
E
ciò regala a Leonardo Sciascia un’altra preziosa riflessione sul confronto tra
fotografia e scrittura, un nesso centrale nella sua creatività, che è alla base
di questa pubblicazione, e che il curatore Diego Mormorio arricchisce di
ulteriori sfaccettature, riportando episodi che hanno ispirato lavori a quattro
mani o altri temi coltivati in autonomia. «La fotografia si può dunque dirla
una guerra contro il tempo: non illustre, umile e quotidiana piuttosto; ma
appunto nel suo essere umile, nel suo essere quotidiana, nel suo essere oggi
ovunque in agguato o invadente, in un certo senso violenta, raggiunge e
sorpassa – anche nei suoi risultati più grezzi, più brutali o banali – le altre
forme, già illustri, di guerra contro il tempo: la storia, il romanzo» (Sciascia, Gli scrittori e la fotografia).
Quanto alle sue stesse fonti d’ispirazione, vediamo qui raccolte per lo più immagini di paesaggio, con la
sola eccezione dello scatto di apertura che ritrae un gruppo di ragazzi di
strada intorno a un fuoco. Al di là dei ritratti riservati ai propri familiari,
ci sono poi soltanto due contadini occupati a mungere una capra sulla soglia di
casa, che a differenza dei ragazzi della prima immagine non guardano il
fotografo e annullano ogni dimensione di spensieratezza. Soggetti e narrazioni provenienti
da quella vita dei borghi che gli era particolarmente cara e che intendeva
rappresentare. Quella bellezza difficile, non istantanea, non alla portata di
tutti, ma selvatica, chiusa, che richiedeva tempo, e faticosa, perché più
faticosamente raggiungibile, posta così nell’interno, un interno aspro, in
apparenza senza idoli né consolazione, com’è l’entroterra siciliano. Eppure,
proprio qui, era sbocciato il suo immaginario letterario, nelle lunghe estati
passate immerso nella campagna racalmutese, tra le mura della casa di famiglia
in contrada Noce, dove anche le figlie piccole avevano imparato subito a
conoscere il valore di quelle radici roventi, piene di forza e di oscura
vitalità.
Un
itinerario fotografico tra ruderi, casette isolate, vicoli alle pendici
dell’Etna che mi ha fatto tornare in mente alcune questioni dibattute al PAU
(Patrimonio Architettura Urbanistica, Reggio Calabria), in occasione di un
convegno sul patrimonio culturale costituito dai nostri borghi fra
abbandono e recupero, cui partecipai come auditrice: «Il degrado delle
strutture dello spazio antropico è dovuto all’obsolescenza, al superamento
della loro funzione. Si tratta allora di considerarle veri e propri beni
culturali e di ispirarsi, per il loro recupero, a modelli culturali ed
economici in controtendenza rispetto all’attuale. Si tratta di accettare la
cesura dettata dall’obsolescenza ed individuare un percorso non di adattamento
ma di co-evoluzione. Se non c’è cura per lo sviluppo complessivo, cioè cultura
dell’intorno e pianificazione dell’intervento sul borgo non si va lontano».
(novembre 2018)
Le
fotografie di Sciascia si offrono come tasselli di questa stessa urgenza,
voglia di dar voce a un bisogno sociale che passi per una rimodulazione
economica, di nuova inclusione e partecipazione attiva dell’essere umano
veramente interprete e attore del territorio, delle sue stratificazioni
culturali, delle sue criticità cui occorre andare incontro, farsene carico nel
tentativo di comprenderle, e forse di risolverle. È la segreta bellezza delle
aree interne, appunto, quella non immediatamente a portata di mano ma che tanto
dice sull’identità e la storia dei luoghi. La bellezza ruvida, inattingibile e
ciclopica, raccolta nei versi tratti da La Sicilia, il suo cuore (1952):
«queste nuvole accagliate,/ i corvi che discendono lenti;/ e le stoppie
bruciate, i radi alberi/ che s’incidono come filigrane».
Di questa via al cielo e
alla terra Sciascia è stato validissimo ritrattista nell’opera letteraria e scopriamo
adesso, grazie a questa pubblicazione, anche attraverso gli scatti che hanno
accompagnato alcuni dei suoi viaggi. Una piccola galleria che arricchisce il
nostro sguardo sull’autore ma che ancor più pone questioni importanti sui modi
d’intendere l’arte, nel dualismo tra pittura e fotografia, e in generale la
cultura, alla ricerca di tracce meno affrettate, di un’autentica comprensione su
dove siamo, via maestra per salvare il nostro passato e i nostri sogni.
(Di Claudia Ciardi)
Leonardo
Sciascia, Sulla fotografia.
A
cura di Diego Mormorio,
collana
“Sguardi e visioni”, Mimesis, 2020
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