Fate
di un museo un reame somigliante a una Wunderkammer e io me ne innamorerò
perdutamente. Alla fin fine l’idea di collezionare e conservare è nata in
questi luoghi eccentrici, quindi il fatto di riportare qualcosa dalle stanze
della meraviglia alle nostre ordinate sale non sarebbe poi così illogico. La
passata attitudine a riunire oggetti secondo simbologie estetiche, richiami
misterici, puro desiderio di ricerca, in un dialogo serrato fra suggestione magica e
inclinazione scientifica, è peraltro di un’attualità stupefacente.
Nel
riflettere una caratteristica innata dell’essere umano, vale a dire la
curiosità e la voglia di compenetrare ogni ambito del sapere, di cui
l’accumulazione degli oggetti è un segno tangibile proprio perché non si
esaurisce né soddisfa mai completamente se stessa, la Wunderkammer sembrerebbe
oggi riportare in auge il suo messaggio. Tanto più che di uno sguardo
meravigliato sulle cose abbiamo davvero un bisogno vitale.
Tessere
trame fra culture e immaginari diversi può consegnarci chiavi di lettura
inedite. E ancora, può liberarci da una mentalità selettiva e iper
specialistica che non raramente ci ha relegati in meccanismi autoreferenziali, dai
quali finiamo per guardare con sospetto ogni avvicinamento tra zone del sapere
considerate discontinue in modo aprioristico.
Il
documentario di Francesco Invernizzi ricostruisce il sentimento della
meraviglia nello spazio e nel tempo, e ci offre un filmato che appare come una
dimora fatata dove si snodano percorsi quasi impossibili fra antico e moderno. E in
una storia ai limiti del possibile (e del pensabile), come avviene ad ogni
ingresso che ci si appresta a varcare, non poteva non aspettarci un’epigrafe: «Tutto
ciò che è ignoto si immagina pieno di meraviglie» (Tacito). Che bello, la voce
di uno storico romano – e non uno a caso, perché Tacito in quanto autore della Germania si era soffermato proprio su quel mondo nordico le cui immaginazioni sono
alla base delle meravigliose stanze qui aperte. Una storia che mischia fantasia
e visione politica e che irradia dal centro Europa fra XVI e XVII secolo.
Moda,
ricerca, fasto, affermazione di potenza; ricordiamo che le Wunderkammern più opulente
erano appannaggio dei ceti più che aristocratici, dei reali addirittura. In
Italia fra le maggiormente sfarzose si ricordano quelle realizzate dai Medici,
collezionisti che non è esagerato definire compulsivi. Poi, sempre in zona
podio per estensione e ricchezza, ci sono le collezioni di Alberto di Baviera, di
Rodolfo e Ferdinando d’Asburgo, quest’ultima ancora oggi visitabile a Vienna.
Un
luogo di piacere che prepara la mente a incontri surreali, con le proprie
ombre e le scene d’inconfessabili sogni, quindi anche sede di malintesi e
contraddizioni. La mescolanza come vera ratio, come chiave di lettura adattabile, soggetta a continua metamorfosi. L’accostamento
fra oggetti di vario tipo, naturali, archeologici, esotici, inventati dà
origine a narrazioni del tutto fuori dai canoni, che permette di gettare lo sguardo su
mondi altri e lontani, superando il filone unico e limitato del collezionismo
di reliquie predominante nel Medioevo. Si tratta anche di un lungo racconto
affidato a una fitta selva di cataloghi, perché in moltissimi casi le stanze
originali sono andate perdute e l’unico modo per recuperarne una presenza
storica è tuffarsi in queste mirabolanti pubblicazioni, fatte di tavole
minuziose, disegni raffinati, evocazioni di atmosfere fuggevoli ed effimere
presenze.
In
questo affascinante resoconto le voci di eccentrici appassionati, moderni realizzatori
di Wunderkammern, si alternano a quelle dei curatori museali (dal Mudec al Poldi Pezzoli di Milano, alla Tate Modern di Londra). In aggiunta, mi piace menzionare anche la GAM di Torino, la cui nuova direzione ha rivoluzionato tutto e cambiato gli allestimenti, valorizzando gli splendidi depositi relegati nei magazzini. Il frutto è una sala di mostre temporanee, battezzata in modo emblematico Wunderkammer, che dà spazio a ciò che altrimenti resterebbe confinato nelle segrete. Un’idea espositiva che attinge a un preciso concetto d’arte: fare largo alla bellezza senza porsi limiti, osare, creare nessi fra cose dimenticate alla vista.
Spunti, temi,
diramazioni, deviazioni che scaturiscono da un elemento congenito all’umano, qual è
il desiderio di conoscere. Dunque, musei dell’insolito. O non è forse l’insolito a costituire la
vera ossatura di un museo? In effetti, non vi è ordine che prima non sia
passato per un magnifico disordine, non c’è bellezza che non sia il frutto di
un’affollata ricerca tra armonie dissonanti. Le Wunderkammern rovesciano
continuamente il gioco dell’arte, spingono le regole fino a farle stridere… ma alla
fantasia nulla è proibito.
Meraviglia,
performatività, collasso, incredulità e contraddizione, sono questi i punti
cardinali in cui nei secoli si sono creati tali ambienti – così nella sintesi di Andrea Lissoni, curatore alla Tate Gallery di Londra. E non sono forse le
nostre stesse collezioni digitali, costruite sull’assemblaggio di immagini, una
sorta di Wunderkammer ispirata dai cortocircuiti che ci mette davanti la
navigazione in rete? Un gioco inesauribile, a quanto sembra, perché sta tutto dentro
la mente umana e lì si rigenera, traendo nuova linfa, in base ai tempi e alle
mode.
(Di
Claudia Ciardi)
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