Berlin calling - Tra catabasi e poesia filmate da Hannes Stöhr
Regia: Hannes Stöhr
Sceneggiatura: Hannes Stöhr
Interpreti principali: Paul Kalkbrenner, Rita Lengyel, Corinna Harfouch, Araba Walton, Peter Schneider
Produzione: Germania, 2008
Durata: 100’
Presentato ai Festival di Belino, Locarno, Amburgo e Toronto, «Berlin Calling» racconta la storia di un musicista nella Berlino di oggi. Il protagonista è interpretato dal DJ e producer Paul Kalkbrenner, uno dei maggiori artisti della scena electro berlinese e autore della bellissima colonna sonora. La sua è una dolorosa catarsi attraverso l’arte che gli permette di uscire dal tunnel della droga. Riproponiamo l'articolo che abbiamo scritto per la proiezione del film nelle sale italiane nel 2011.
Vibrazioni di una metropoli. Metamorfosi al nero, scandita dagli ambienti della tecno. Gradazioni e risonanze fotografate dalla notte all’alba, intenso lirismo di una città al risveglio. Ritmo della capitale confuso alla sinfonia elettronica di un corpo urbano e umano in continuo movimento.
Hannes Stöhr, inserendosi nel filone dei tanti film che hanno cantato "l'aria di Berlino", ci racconta l'aspetto più dimesso del suo carattere ma forse anche quello che meglio la rappresenta, sempre in bilico tra malinconica ritrosia e voglia di comunicare. La sua mano coglie sapientemente l’umore mutevole dell’uderground tedesco, cui partecipano differenti tonalità di voce e colore, Farbabstimmungen, dialoganti in un paesaggio comune.
E proprio questo denso intreccio di segni avvolge il protagonista, Paul Kalkbrenner, nella realtà animatore della Berlino notturna e uno dei compositori di tecno più in voga in Germania, che nei panni di un tormentato alias, il dj Ickarus, fragile e sensibile genio della musica, mette a rischio la propria vita a causa di una brutta dipendenza dalle droghe.
Prigioniero di una spirale soffocante, all’insegna dell’eccesso e dello sballo, scivola sempre più giù, concludendo il viaggio al termine della notte in una clinica di riabilitazione. Le ore che precedono il ricovero sono una passeggiata sull’orlo del precipizio. Ickarus, nell’impossibilità di controllare il proprio corpo, si trascina ai confini di se stesso. Silenzioso testimone di questa allucinata 'catabasi' il profilo del muro, sponda fisica di una ferita che scende nel cuore della città. In fondo alla barriera incontra la dottoressa Petra Paul, interpretata da una straordinaria Corinna Harfouch, con cui condivide tensioni, contrasti, a tratti anche molto duri, e momenti di abbandono, durante i quali lascia straripare la propria emotività in piena.
Icka vuole dimostrare che la sua musica, grazie all’energia che mette in circolo in lui e attorno a lui, è l’unica cosa in grado di fargli mantenere un contatto col mondo e permettergli un ritorno alla vita. Il respiro metropolitano, le storie di uomini e donne che lì si amano, soffrono, si perdono, perfino l’odore e il rumore della S-Bahn, lo attraversano. Tutto entra in lui, con forza, e la musica della rinascita viene da un ascolto continuo, da una sintonia di corpi e immaginazioni che, al pari di una marea, non smettono mai di fluire.
I pezzi onirici della colonna sonora, firmati da un ispiratissimo Kalkbrenner, non solo presiedono alla struggente trasformazione umana del protagonista ma anche a quella di una città che vive in simbiosi il medesimo stato emozionale.
L’alternanza dei piani visivi accompagna il faticoso percorso di Icka in uscita dal tunnel. Intento a guardare lo skyline dal tetto del reparto, ora somiglia a un Prometeo incatenato alla sua pena, sempre sul punto di venir meno, conteso tra alto e basso, tra fuori e dentro; ora condivide la sorte di Filottete, il quale, abbandonato dai compagni su un’isola deserta a causa della piaga che lo affligge, sviluppa con l’ambiente un profondo legame simpatetico, sopravvivendo così all’emarginazione.
Qui, si tratta del cielo sopra Berlino.
La cima della Siegessäule è sostituita dalla sagoma ammiccante della torre che domina l’Alexanderplatz. Trionfante miraggio offerto al volo del nostro moderno taumaturgo, il quale tuttavia non riesce a trarne neppure per un attimo la gioia dell’hiersein né a intravedervi una via per la salvezza, ma è costretto semmai a riconoscere intero il peso del suo spaesamento e della sua solitudine.
È una creatura schiacciata dall’impulso dell’Alto, quasi angelo rilkiano, la cui parola rinuncia a descrivere le dissolvenze dello spazio esteriore, dato in maniera ingannevole come forma e concretezza, per preservarne la vera rappresentazione nell’indicibile interiore. Angelus Novus, fin troppo umano e dolente, irrimediabilmente impigliato alla sua caduta, consapevole che nel risveglio si nasconde il rischio della propria dissoluzione.
«Forse sonno di giganti/ del nostro sangue caldo», Icarus doppia nel suo slancio i versi del poeta, perché la sua volontà inesausta ugualmente si protende sulla sconfinante lontananza dell’abisso. E proprio nel suo cuore acceso sopravvive la scintilla del riscatto. Questo è il richiamo di Berlino. Berlino – anzi il dio stesso della città – comincia qui. Così pure Walter Benjamin, che con vivida empatia aveva saputo cogliere, molto tempo prima, il nodo di pulsazioni inquiete e allo stesso tempo capaci di rassicurare, stretto alle fondamenta della città.
Sotto la pelle degli sfondi metropolitani, catturati nel loro delirio chiaroscurale e accarezzati dal misticismo dissonante della melodia di Altes Kamuffel, scorre un moto di ribellione, inseguito, cullato, vibrato, fino ad arrivare all’urlo di Revolte.
Lentamente, ma procedendo anche per violenti strappi, ci si lascia alle spalle il labirinto e si esce di nuovo all’aperto, non prima però di un’estrema danza con la morte sui binari della metropolitana, culmine allegorico del viaggio. E i sotterranei della stazione diventano l’archetipo di ogni “discesa”, giacché l’esperienza poetica è esattamente questo, restare sospesi a un passo dal baratro e riportarne in superficie quella necessità deflagrante da opporre alla devastazione del nulla.
(Claudia Ciardi, febbraio 2011)