Nella
graziosa collana “Piccola filosofia di viaggio” della casa editrice Ediciclo il
libro di Alberto Bregani è una perla di saggezza fotografica che ci introduce all’arte
del ritrarre montagne. Talento complesso in cui le lunghe camminate per boschi
e sentieri, con tutto ciò che l’andar per cime comporta, incontrano la pratica
dai risvolti se possiamo dire alchemici di saper catturare al meglio luci e
ombre. Virtù imprescindibile la pazienza che in quota fa rima con resistenza,
perché spesso la foto va attesa in condizioni ambientali molto disagevoli.
Attraverso
una prosa semplice che non respinge il lettore negli asettici meandri del puro
tecnicismo, Bregani ci accompagna in una delle sue passeggiate alla scoperta di
questo singolarissimo mondo d’immagini tra nuvole e rocce. Sul filo dei ricordi
personali che portano la sua escursione in parte sui binari del diario di un alpinista
zen in parte verso il sommesso divagare di
quel minimalismo letterario alla Robert Walser, che ogni buon camminatore ben
conosce, chi scrive compie un vero e proprio incantesimo tascabile. In questo
piccolo libro, infatti, ogni parola riconduce alla compiutezza di uno scatto.
Bregani
parla di come e quando si assommino gli elementi giusti per un’istantanea che sia in
grado di raccontare qualcosa, e questo suo resoconto con cui allude alla bellezza di un’immagine è un modo perfettamente riuscito di consegnare nelle
nostre mani un singolarissimo catalogo fotografico costruito per lievi, tacite
evocazioni. L’allusività di quest’opera, il sottile gioco all’inseguimento fra
rappresentazione verbale e uso dell’obiettivo ne fanno un piccolo manuale per
appassionati, ma forse soprattutto per neofiti. E ciò grazie all’umiltà con cui
Bregani spiega il suo mestiere. Perché quest’arte nasce tutta in simbiosi con
la natura e dunque si dà solo nella genuina pretesa di tale attaccamento o se
vogliamo affiatamento. C’è alla base una devozione se vogliamo cultuale nei
confronti degli spazi in cui si tenta di astrarre lo spirito di una narrazione.
Chi scrive ha scelto di coltivare questa religiosità dell’immagine in bianco e
nero, secondo la tradizione degli altri grandi ritrattisti che hanno legato il
loro nome al profilo delle vette, da Ansel Adams a Vittorio Sella. Emblematica
la sintesi che si legge nel libro sul lavorare in assenza di colori: «C’è un
momento della giornata, ben conosciuto dai fotografi che scattano a colori, che
si chiama ora blu. È intorno al crepuscolo. Non c’è più sole, ma non è ancora
completamente buio. È una situazione molto ricercata, perché la luce ha una
temperatura più fredda che contribuisce a ottenere aree di penombra, colori
desaturati e più freddi, e cielo blu intenso. Ecco, tutto questo con il bianco
e nero io non ce l’ho. Rende sicuramente meglio a colori. Ma anch’io ho il mio
momento ideale: quello in cui il sole è presente ma ancora per poco. Ha
un’inclinazione perfetta per dare risalto alle pareti, i bianchi delle nuvole
si accendono e i giochi di luci e ombre acquistano densità e definizione».
Vediamo
ancora una volta in queste righe come il quadro prenda letteralmente forma
sotto i nostri occhi, oltre a percepire con chiarezza la disciplina quasi
ascetica che si richiede a chi impugna la macchina fotografica. Nel ricostruire
la messa a punto di alcuni dei suoi lavori più belli, Bregani isola l’elemento
imponderabile, quell’imprevisto che può rovinare le premesse per il migliore degli
scatti possibili ma anche trasformare una situazione di luce piatta in una
vista insolita e profonda. E ciò si accompagna alla necessità di distinguere
tra esecutore e autore, una differenza che al nostro fotografo non preme affatto
sottolineare in nome di un presunto narcisismo artistico incaricato di
scoraggiare qualsiasi ricerca amatoriale. Anzi. Ben vengano i molti
appassionati senza pretese, perché anche la foto è un mezzo per avvicinare la
gente alla cultura di montagna e a un ambientalismo responsabile. Per Bregani
si tratta solo di rendere cosciente il lettore dei diversi gradi in cui l’opera
di ritrarre il paesaggio possa svilupparsi. Ed è pur vero che vi sono casi in
cui l’incappare in condizioni meteorologiche particolarmente favorevoli e
inaspettate, talvolta regala scatti di notevole impatto narrativo.
Io
che in materia di fotografia riesco appena a definirmi una simpatizzante,
quando ripenso a certe circostanze della mia vita capisco in pieno il senso della
fortuna e del fattore inatteso di cui parla Bregani a proposito di scatti
riusciti. Tra gli episodi più recenti ci sono un temporale improvviso sul golfo
di Trieste mentre il sole stava tramontando e una schiarita a Boccadarno – di
quelle che capitano una volta all’anno quando va bene – con le Apuane che
sembravano a un passo dal fiume e la linea di costa marcata fino alle Cinque
Terre. Quel che avvenne a Trieste fu davvero incredibile.
Arrivata in città alla fine di settembre con un sole quasi imbarazzante, nel
pomeriggio ebbi l’idea di andare al mare. Non avevo pianificato il mio
spostamento e la sosta fu decisa in modo del tutto impulsivo. Mentre ero
sull’autobus la luce aveva cominciato a cambiare e, col timore di ritrovarmi
nel bel mezzo di una tempesta ma impaziente anche di scattare qualche foto, al
primo varco che vidi aprirsi nella pineta alle mie spalle saltai giù. Scoprii
di essere a Barcola. E la vista in quel punto, a quell’ora, col cielo spaccato
in due metà esatte tra il cupo delle nuvole e l’incendio del tramonto, mentre
il vento prendeva forza sul mare spingendo le due metà a toccarsi, io credo sia
stato uno degli spettacoli più singolari e intensi a livello cromatico cui
fosse dato assistere lì. Ecco una grande fortuna, ecco come qualcuno che visiti
un posto per la prima volta non possa sperare di essere salutato meglio dallo
spirito del luogo. Son sicura che la mano di un professionista avrebbe
realizzato qualcosa di straordinario. Eppure custodisco gelosamente quei miei
scatti che, com’è inevitabile, si legano a miei ricordi di quelle ore benedette.
Di
questo libro di Alberto Bregani ho apprezzato la naturalezza con cui ci
introduce alle cose semplici e autentiche del vivere. Camminare, aggiungere
strade alla nostra quotidianità, non fuggire i percorsi che ci guidano alla
conoscenza degli altri e di quello che ci circonda, abbandonarsi agli
imprevisti, agli incontri, in una parola esplorare gli infiniti mondi che ruotano
dentro e fuori di noi e, sentendone l’esigenza, provare a raccontarli.
(Di
Claudia Ciardi)
Alberto Bregani, La montagna in chiaroscuro.
Piccolo saggio sul fotografare tra cime e sentieri,
Ediciclo editore, 2017
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