Su
«Montagne 360», rivista del Club Alpino Italiano, molti articoli sono dedicati
questo mese alla riscoperta e valorizzazione delle cosiddette terre alte attraverso
un turismo lento, consapevole e culturalmente predisposto a vivere la montagna
secondo le sue cadenze e i ritmi dettati
dalla sua natura.
Ampio
spazio è riservato anche alle voci degli imprenditori che dagli anni Venti del
Novecento hanno sviluppato le loro attività in simbiosi con la crescita degli
sport alpini, a livello professionale e amatoriale. La calzatura da montagna
per il trekking e la scalata ha saputo guadagnarsi un posto tra le eccellenze
italiane. Si tratta di aziende a conduzione familiare, capaci nel tempo di
ritagliarsi una fetta importante nel mercato mondiale.
Questa
cultura imprenditoriale alta, fortemente impegnata sul piano sociale per
migliorare qualità e produttività del lavoro, nonché orientata alla pratica di
politiche ambientali sostenibili, è espressa appieno nelle parole di Paolo
Bordin, amministratore delegato di Aku: «Troppo spesso la montagna è vista e
usata come parco giochi, trascurata per ciò che davvero è e per ciò che
dovrebbe rappresentare, ovvero una sintesi di valori che ci possono aiutare a
immaginare il nostro futuro in chiave sostenibile».
Camminare,
mettere alla prova volontà, resistenza e, appunto, immaginazione. Una salita è
soprattutto questo, e solo in parte una sfida fisica, ma una parte assai
minima; un lavoro su se stessi, un ponte gettato sulla propria personalità per
stimolarla a uscire allo scoperto, una fatica che si fa sentire nel corpo liberando
la mente in misura più che proporzionale. Quanto più si accresce il senso di
appagamento, quanto più il pensiero si eleva e rafforza, tanto meno si avverte
la stanchezza.
In
ogni centimetro di appoggio sentire la montagna, percepire ogni cambiamento del
terreno, protrarre il contatto con ritmica ostinazione finché non si è arrivati
alla meta. Senza questo potente insegnamento di natura non potrei scrivere, non
avrei avuto le idee migliori, non mi sarei messa in costante discussione, non
sarei arrivata dove sono arrivata finora.
(Di
Claudia Ciardi)
Dal numero:
Sentieri a Capraia (sotto nella foto)
La
riscoperta dei sentieri italiani dialoga strettamente con una rinascita
culturale basata su un turismo lento e consapevole, che metta al centro la
tutela dell’ambiente.
Dall’articolo
di Enrico Pelucchi: «L’attuale sistema coltiva e incentiva, per i propri fini
economici, politici, sociali, la cultura di massa, centrata su un consumismo
fine a se stesso, col rischio di oscurare o ridurre l’attenzione verso modelli
di vita e di pensiero ad alto contenuto culturale e morale; il rapporto tra
cultura di massa e d’élite, per evitare fratture e conflitti, ha bisogno di
capacità sempre più sofisticate di mediazione che favoriscano la diffusione di
idee “alte” e condivise. Si avverte la necessità di riproporre solide basi
culturali rispetto a valori di umanità e solidarietà […]. Bisogna infine
ridefinire, rielaborare e promuovere i significati più profondi dell’esistenza
umana in un contesto di cultura libera, plurale e gratuita». Dunque percorrere
i sentieri d’Italia come «testimonianza di una sorprendente rifioritura di
pellegrinaggi, ma anche di un turismo mosso dall’attrazione per il paesaggio e
l’arte, dalla bellezza lenta del camminare, dalla rivincita del silenzio e
dalla dimensione spirituale che la modernità ha soffocato».
L’Alpe
Veglia, 1700 metri di quota in Val d’Ossola (Piemonte), nelle Alpi Lepontine, è
un esempio di conservazione ambientale cui hanno concorso diversi fattori. Il
progetto per lo sfruttamento idroelettrico, sostenuto per quasi un trentennio,
ha incontrato molte difficoltà, prima fra tutte lo scetticismo della
popolazione locale e delle amministrazioni. Incertezze, lungaggini
burocratiche, perizie favorevoli alla tutela delle risorse di questo
territorio, hanno permesso di salvarlo dall’ennesima infrastruttura selvaggia
che avrebbe avuto pochissime ricadute economiche per i suoi abitanti.
Dall’articolo
di Giulio Frangioni: «L’alpe è un complemento dei terreni e della proprietà
privata della valle, essa valorizza questi, come è valorizzata da essi. Tutti
assieme: terreni di valle, montagne di media altezza, l’alpe, formano un serie
di anelli tra loro congiunti che portano tutti il contributo necessario per dar
vita e sviluppo all’industria armentizia, quale è attualmente… È evidente che, se uno di questi anelli viene a rompersi
o a mancare, la catena perde dalla sua continuità ed ineluttabilmente si riduce
la sua forza produttiva […]. Sulla scia di queste prese di posizione,
finalmente nel 1978 la regione Piemonte istituì il parco naturale dell’Alpe
Veglia, salvaguardando per sempre la fragilità e la bellezza di questa
magnifica conca. Pochi anni dopo fu aggiunta anche la splendida area del Devero
dando vita ad un unicum di eccezionale interesse ambientale e naturalistico di
tutte le Alpi. Ancor oggi Veglia lo si raggiunge solo d’estate e nel lungo
inverno l’alpe riposa protetta da grandi montagne e da severi passi. Restano
indelebili le parole di Marcell Kurz, il pioniere dello sci alpinismo: «…si
faccia come noi, si parta dal Sempione andando a passeggio sui nevai del
Katlwasser contemplando larghi orizzonti, e si scenda al crepuscolo nella
cerchia dantesca di Veglia dominata dal suo Leone, allora si resterà come noi
vinti ed incantati dalla sublime bellezza del contrasto. Ci sentivamo
piccolissimi ed eravamo soli… La serata passata a Veglia nell’intimità e la
solitudine resterà sempre uno dei più bei ricordi».».
Cartoline di Val d’Ossola
Quello
delle comunità resilienti è un tema importantissimo per capire le dinamiche sociali
di coloro che abitano in montagna e, in generale, di borghi e contrade tagliati
fuori dalle cosiddette arterie principali, attorno a cui invece si concentra la
maggior parte della popolazione, dunque delle attività commerciali e dei
servizi così da intercettare anche i grandi flussi turistici. Emerge con sempre più
insistenza nel dibattito sulla salvaguardia e la valorizzazione del territorio
come siano necessarie politiche mirate al recupero delle aree marginali.
Senza un’impostazione di questo tipo, tali zone sono votate alla decadenza e al
definitivo abbandono.
Dall’articolo
di Simone Papuzzi: «La scarsa cura del territorio indebolisce l’attrattiva
turistica. […] Occorre quindi far sviluppare o re-inventare un’agricoltura di
montagna essenziale come pre-requisito di partenza per far partire altre
attività. Senza le malghe e gli alpeggi si perderebbe una parte della flora e
della fauna alpina e, quindi, quel patrimonio di biodiversità fondamentale. Si
può garantire anche un’offerta gastronomica regionale e sviluppare un commercio
di prodotti locali tipici e genuini».
Il trekking solidale sui Monti Sibillini è una bella idea per richiamare visitatori nel centro Italia, dopo gli eventi sismici che hanno ferito i suoi preziosi borghi. Un modo per far sentire la vicinanza di tutti alle popolazioni colpite e per dare un po’ di respiro a un’economia locale messa a dura prova.
Dall’articolo
di Martina Nasso: «Il popolo dei Sibillini non si è fatto abbattere ed è
ripartito dalla sua ricchezza più grande: lo spirito comunitario. C’è una storia
alla base della capacità di resilienza di chi abita queste terre alte. Sono gli
stessi luoghi in cui fiorirono e si moltiplicarono le comunità agrarie, forme
ultrasecolari di proprietà collettiva diffuse soprattutto nel Centro Italia per
la gestione dei boschi e dei pascoli. Si tratta di antiche associazioni di
abitanti espressione di solidarietà, mutuo soccorso, autorganizzazione,
protezione e salvaguardia del territorio. Nelle comunanze fino all’Ottocento si
preferiva lavorare per il benessere collettivo, lasciando da parte ogni forma
di interesse individualistico. Vigeva allora un modo di vivere semplice, ma solidale.
Oggi molto è cambiato e le comunanze ancora in vita sono rimaste sempre più
isolate, ancor di più a causa dell’abbandono delle zone montane. Di quel modo
di vivere non è rimasto molto, ma ciò che è resistito e che si respira
attraversando le antiche comunanze dei Sibillini è la solidarietà interna alle
comunità. […] A questa, dopo le scosse dello scorso anno, si è aggiunta anche
la solidarietà proveniente da fuori e si sono create reti e relazioni in grado
di superare le vette più alte dei Sibillini».
Dall’editoriale
di Luca Calzolari, direttore di «Montagne 360»: «Parlo di prospettive, di idee,
di progettualità che riguardano territori estesi che non possono essere
arginati e stretti nei confini amministrativi. […] Penso, ad esempio, alla
valorizzazione dei cammini storici, cui il Cai ha recentemente dedicato il
convegno “A piedi nella storia. Itinerari transappenninici e sviluppo dei
territori montani”. […] Perché, nonostante il fenomeno dei ritornanti e la
nascita di nuove cooperative di comunità, le terre alte si stanno spopolando.
Ma c’è un dato in controtendenza: anche se diminuiscono gli abitanti, seppur di
poco il Pil è in aumento. Un motivo in più per capire che è bene investire su
una pianificazione di progetti comuni in un territorio esteso».