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19 febbraio 2021

Mirto e piantaggine

Mirto

Membro della famiglia delle Myrtaceae, sempreverde in forma di arbusto o alberello che non supera i quattro metri di altezza, il mirto è una delle piante simbolo della flora mediterranea, specie se si guarda agli ecosistemi insulari. Predilige ambienti a clima caldo ma non disdegna luoghi umidi, lungo i corsi d’acqua. Presente anche sulle pendici dei Monti Pisani, c’è chi sostiene che sia il frutto di esemplari importati della Sardegna, al tempo della dominazione di Pisa in epoca medioevale, o che il vento con opera più mite e paziente ne abbia trasportato i semi dalle vicine isole a quei rilievi. Corteccia di colore marrone scuro o rossastra, foglie lanceolate, bacche piccole, sferiche, color nero-violaceo contenenti semi che danno sul giallo. Tali frutti maturano tra ottobre e dicembre e sono commestibili; da questi come anche dalle foglie si estrae il famoso liquore di mirto, la cosiddetta grappa dei pescatori. La sua variante corsa, chiamata myrtéi, ha spiccate qualità digestive. I fiori bianchi che si schiudono in tarda primavera o inizio estate offrono uno spettacolo estremamente suggestivo e diffondono una fragranza pepata, le bacche invece sono di sapore aspro e resinoso.

Ottimi mirti sardi: Mirto del contadino, Murta, Rau, Zedda Piras.

Si tratta di una delle erbe aromatiche per eccellenza, dalle proprietà antisettiche, ricca di vitamina C, tanto da essere largamente adoperata dalla medicina omeopatica nei preparati per alleviare i disturbi alle vie respiratorie, rivelandosi efficace contro tosse, bronchite, raffreddore, sinusite. L’olio essenziale è utile contro tosse, cistite, acne. Nei diffusori o nell’acqua degli umidificatori dei termosifoni (calcolare una goccia per ogni metro quadrato dell’ambiente che si vuole trattare) disinfetta l’aria, indicato particolarmente nelle camere di bambini o anziani.

Assurta alla gloria fin dall’antichità tanto che nel Foro romano vi era un antico altare consacrato a Venere Mirtea, in quanto la dea subito dopo esser nata dal mare si sarebbe rifugiata in un bosco di mirto, il poeta greco Archiloco la celebra in questi versi:

Con una fronda di mirto giocava
ed una fresca rosa;
e la sua chioma
le ombrava lieve e gli omeri e le spalle.

(Frammento 40 LB Traduzione di Salvatore Quasimodo)

Ed eccolo al centro di una descrizione del paesaggio isolano, una galleria botanica che Grazia Deledda disegna in uno dei romanzi a mio avviso più incisivi della sua produzione, L’edera:

«L’alloro dalle foglie lucide, il corbezzolo, il mirto dal frutto nero, il ginepro fragrante, le macchie ancora fresche della rosa peonia, tutte le piante più rare della flora sarda, rivestivano la valle, circondavano le rocce, si arrampicavano fin sulle cime più alte».
 
(Grazia Deledda)

Piantaggine

Appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae, la piantaggine viene considerata un’erba infestante che si trova ovunque in Italia, dal mare alle montagne, in terreni aridi o coltivati, fino a 2000 metri. Ne esistono tre specie perenni, l’altezza varia dai dieci ai sessanta centimetri.
Diffusamente conosciuta come antinfiammatorio ed espettorante, utile in caso d’infiammazioni delle mucose. Tale caratteristica è dovuta all’aucubina, che per idrolisi libera una genina biciclica di nome aucubigenina. Questo principio attivo possiede una marcata proprietà antiallergica e decongestionante, il cui meccanismo di azione si esplica nell’inibizione della sintesi dei mediatori dell’infiammazione. Perciò la piantaggine è utilizzata efficacemente negli stati infiammatori della cute e delle mucose che rivestono bocca, gola e vie respiratorie in genere, per alleviare tosse, catarro bronchiale, bronchite cronica, allergia, sinusite,  e per le infiammazioni dell’apparato urogenitale; quindi in presenza di reazioni allergiche e infezioni batteriche, grazie anche all’azione antisettica esercitata dagli acidi fenolici. Infine trova impiego come rimedio diuretico e remineralizzante per il suo contenuto di acido silicico,  zinco e potassio.
Se ne ricavano sciroppi e infusi. Ricetta per l’infuso: un cucchiaio di foglie di piantaggine, una tazza d’acqua. Versare le foglie nell’acqua bollente e spengere il fuoco. Coprire e lasciare in infusione per dieci minuti. Filtrare l’infuso e berne due tazze al giorno lontano dai pasti.
Tintura madre di piantaggine: quaranta gocce in mezzo bicchiere d’acqua, da bere due volte al giorno, lontano dai pasti.

Dioscoride, botanico e medico greco che operava nel I secolo d. C., la riteneva efficace per la cura della dissenteria, mentre Plinio la definiva “erba magica” per le sue numerose proprietà terapeutiche. I medici della Scuola Salernitana ne sfruttavano la virtù astringente come rimedio contro le mestruazioni abbondanti e “gli spostamenti dell’utero”; il medico e filosofo Alberto Magno (XIII sec.) la considerava un formidabile antidoto contro il veleno di scorpioni e serpenti.

Pianta assai modesta che non ha mai esercitato nessun fascino, né per la bellezza dei suoi colori né per il profumo dei suoi fiori, la piantaggine è da sempre relegata al rango di umile pianta della strada, fedele alleata nelle pratiche della medicina popolare. Il suo nome deriva dalla parola latina planta, sia per la somiglianza delle foglie alla pianta del piede, sia per la sua familiarità col passaggio dei viandanti. Eppure la poetessa russa Anna Achmatova la sentì tanto complice e affine da intitolarle una raccolta di versi, sigillo della propria esperienza lavorativa alla biblioteca dell’Istituto di agronomia di San Pietroburgo e della storia sentimentale con il poeta e assirologo Vladimir Šilejko (1918-1921).
Nella tradizione irlandese si dice che San Patrizio d’Irlanda abbia bevuto da una fonte usando una foglia di piantaggine maggiore, simile alla piantaggine lanceolata ma con le foglie più larghe e stondate, tanto che il suo nome in gaelico è Cuach Phádraig, ossia “la scodella di Patrizio”.

L’Incantesimo delle Nove Erbe è un trattato che risale al IX o X secolo d. C. che racchiude le credenze del folklore britannico, in cui viene citata la forza della piantaggine:

E tu, piantaggine, madre delle erbe,
aperta a oriente, potente dentro;
carri passano su di te, la regina cavalca su di te,
gridano sopra di te le spose, rumorosi i buoi.
Tu puoi resistere a tutto e resistente rimani in piedi;
così puoi tu resistere ad ogni veleno e contagio
e al nemico che attraversa il paese.

(versi 7-13)

Due tra le migliori tisane espettoranti e decongestionanti prodotte in Italia, perfette contro le infreddature dell’inverno ma ottime da gustare anche fuori stagione, sono Expettoral, a base di mirto, erisimo, grindelia ed eucalipto, della ditta Specchiasol, e GrinTuss, con grindelia, piantaggine, elicriso e oli essenziali, a marchio Aboca.

(Di Claudia Ciardi per la rubrica «Arboreto salvatico»)










Ricordando Ippolito Pizzetti, enciclopedista delle piante. Scomparso nel 2007, gli scritti delle sue rubriche a tema ecologista, dall’«Espresso» alle numerose testate online, sono stati raccolti in diversi volumi. Il libro Naturale inclinazione (Encyclomedia Publishers, Milano 2011) uscito postumo, dipana alcuni dei suoi argomenti prediletti, alberi, paesaggi, città, persone. Un articolo a firma di Francesca Neonato su «Leggendaria» numero 88 (luglio 2011) ne ripercorre l’opera e l’umanità. Da riscoprire.



6 novembre 2020

I fiori delle Alpi Marittime


Una collana dedicata alle donne e agli uomini che non si sono arresi, ma hanno fronteggiato le avversità della storia prendendo in mano il proprio destino, una rivista, “Camminare”, elogio dell’andar lenti, e poi le narrazioni, i saperi, le vocazioni che contribuiscono a salvare memorie e fisionomia dei luoghi. Fusta, casa editrice con base a Saluzzo, fra le altre sue creazioni ci offre un manuale dedicato alle fioriture delle Alpi Marittime, una miniera di curiosità botaniche, oltre che un atto d’amore verso il territorio, principalmente le valli del Monviso, cui il progetto editoriale si indirizza. Un’idea che mette al centro le persone, i bei caratteri resilienti di questi montanari, la gentilezza caparbia che muove i loro cuori.

I due autori, Iolanda Armand Ugon e Giovanni Manavella, hanno battuto metro per metro da nord a sud il settore occidentale delle Alpi, regalandoci più di duecentocinquanta ritratti floreali, non pochi dei quali di assoluta rarità. Ognuno è inquadrato in una scheda che ne riassume le principali caratteristiche: habitat, sviluppo, diffusione, eventuali utilizzi. Sì, perché se normalmente pensiamo che i fiori non siano edibili, in realtà ci sono diverse specie dalle molteplici risorse. Ad esempio, il lampone, apprezzato per i suoi gustosi frutti, offre foglie e fiori da essiccare per la preparazione di decotti. Con le foglie dell’arbusto è possibile fare una tisana per alleviare mal di gola o diarrea, o realizzare degli impacchi per lenire gli occhi infiammati. Le foglie si raccolgono tra maggio e giugno e si fanno seccare in un luogo areato ed asciutto.L’infuso di foglie di lamponi si prepara con le foglie secche della pianta messe a bagno in una tazza di acqua bollente per 10 minuti. Trascorso questo tempo si può filtrare e consumare il liquido così ottenuto.

Il rabarbaro alpino ha foglie commestibili, che si possono aggiungere all’insalata o bollire, come verdura di accompagnamento – è bene tuttavia non esagerare perché un consumo prolungato ed eccessivo potrebbe risultare tossico. E poi ancora, la lavanda, la viola, il fiore di sambuco, conoscono impieghi alimentari.
I nostri narratori hanno fotografato con estrema cura ogni pianta, dedicandole diversi ritagli e ingrandimenti che ne mostrano nel modo più chiaro possibile l’aspetto di fusto, fogliame, infiorescenza. Un punto di forza non trascurabile per questo libro, dato che di frequente manuali e opere divulgative a tema botanico non prestano la dovuta attenzione alla qualità dell’immagine, spesso rendendo assai ostico per chi legge ed ha poca dimestichezza con la materia memorizzare peculiarità e differenze. Qui l’osservazione in natura è riportata sulla pagina stampata in modo più che soddisfacente.
Esperti di ecosistemi montani, con una pluriennale specializzazione in materia di funghi e mixomiceti, Ugon e Manavella ci accompagnano in una lunga passeggiata sull’arco alpino, iniziandoci alla varietà e ai fragili equilibri di questi ambienti. I mixomiceti studiati dai due ricercatori sono microrganismi originati dalla biomassa di vegetali smossi e marcescenti sotto lo strato nevoso in quelle che convenzionalmente vengono chiamate “vallette nivali”, le aree in quota con maggiore biodiversità. Il termine, coniato  dal  naturalista  svizzero  Oswald Heer (Uzwil, 31 agosto 1809 – Losanna, 27 settembre 1883) ed entrato nella letteratura naturalistica nel XIX secolo, indica gli ambienti d’altitudine in cui scarsa pendenza, andamento dolcemente concavo del terreno ed esposizione a nord o comunque poco soleggiata concorrono  a  favorire  una  lunga  permanenza  della  neve  al  suolo.

Approfondire  le forme di vita vegetali e faunistiche, significa godere di un osservatorio privilegiato per quanto riguarda inquinamento e altre minacce. Dalle più comuni, l’arnica, la genziana, il mirtillo nero, la valeriana di montagna, il timo, l’erba cipollina, alle più rappresentative e, verrebbe da dire, monumentali, ritenute simbolo del Piemonte. Su tutte la poligala, dal gr. πολύγαλον, comp. di πολυ- «poli-» e γάλα «latte», perché si riteneva che stimolasse la secrezione del latte nei bovini e nelle gestanti, secondo l’antica testimonianza di Dioscoride, impiegata soprattutto per le sue proprietà sedative ed espettoranti contro tosse e bronchite, e la sassifraga (spinulosa, brioide, verdazzurra, dei graniti, dell’Argentera), ricca di vitamina C e utilizzabile in quasi ogni sua parte (radice, fiori, foglie fresche).

Opera meritoria, da riscoprire soprattutto in questi tempi che necessariamente sono e saranno segnati da un ritorno ai territori, a modelli sostenibili, improntati alla vicinanza, conoscenza e maggiore osmosi con la natura. I libri di Fusta editore sono disponibili anche presso la Libreria La Montagna di Torino. A dare di tanto in tanto un’occhiata al catalogo, non si sbaglia; valga più di un’esortazione.

(Di Claudia Ciardi)






* Il muscari azzurro fiorisce in pianura, sui lungofiumi, fino a 2000 metri. Adattabile e versatile, nelle zone pianeggianti la sua presenza è più precoce; lo si può infatti osservare già dalla metà di febbraio.

Foto di Claudia Ciardi ©

Libro:

Iolanda Armand Ugon, Giovanni Manavella, Fiori di montagna delle Alpi sud occidentali, Fusta Editore, 2014


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