Con Paolo Zignani, amico e collaboratore occasionale di questo blog, mi sono data nelle ultime settimane un compito interessante e per nulla semplice: rileggere il resoconto scritto da Martin Heidegger in occasione del suo primo viaggio in Grecia. Il filosofo, fin dal titolo, avvisa il lettore. Non addomesticherà il suo peregrinare nelle forme accondiscendenti e un po’ assonnate della consueta narrazione diaristica – men che meno assecondandone derive consumiste più che familiari a noi figli sballottati dalla globalizzazione – ma ci offrirà una permanenza (in tedesco Aufenthalt). Stilettata filologica non da poco, che c’impone il tempo della sosta, cioè apre la spazialità a una precisa dimensione cognitiva. Lo spazio, dunque, come incubatore di pensiero. In scia con quel che il filosofo teorizza negli Holzwege, sentieri come vie di conoscenza; che si perdano o meno, favorendo la nostra stessa attitudine all’incompiutezza, è del tutto secondario, anzi forse perfino più coerente del palesarsi di una meta.
Si tratta in questo caso di una memoria assai densa. Non inganni la brevità del testo; la Grecia e il fraseggio che Heidegger costruisce attorno ai suoi monumenti danno luogo a un’architettura complessa che implica, da parte del lettore, più di un ritorno. E mi riprometto, infatti, di dedicare un ulteriore intervento proprio ai contenuti di questo affascinante librino che, all’inizio del millennio, ci interroga senza vedersi superato in alcuna sua proposta.
Si tratta in questo caso di una memoria assai densa. Non inganni la brevità del testo; la Grecia e il fraseggio che Heidegger costruisce attorno ai suoi monumenti danno luogo a un’architettura complessa che implica, da parte del lettore, più di un ritorno. E mi riprometto, infatti, di dedicare un ulteriore intervento proprio ai contenuti di questo affascinante librino che, all’inizio del millennio, ci interroga senza vedersi superato in alcuna sua proposta.
Negli ultimi anni, ci siamo abituati a veder entrare la Grecia nel nostro
orizzonte di europei in preda a crampi identitari, parlandone unicamente in
funzione delle nostre crescenti isteresi. Pertanto, facendo violenza a quel che
la Grecia ha significato sotto il profilo culturale e che tuttora significa. Anzi, la Grecia
sembra inserirsi esattamente in queste crepe occidentali, non come immagine
in grado di rassicurare, cosa che invece ci si aspetterebbe da una culla di civiltà, ma semmai
contribuendo all’inquietudine. E di ciò siamo responsabili noi in prima
persona.
Prendiamo
l’ultimo incontro politico in terra ellenica. Il presidente americano, reduce dalla sconfitta della sua candidata alle elezioni, ha inteso rafforzare la sua immagine di paladino della democrazia, scattando
una foto di circostanza sull’Acropoli. Su di lui incombeva la responsabilità di
una disfatta in patria e lo spettro, mai esorcizzato, di un popolo
messo a dura prova dall’austerità, proprio lì, ai piedi di quella millenaria
bellezza monumentale. Stridente il messaggio che si è voluto lanciare, tanto
più che al tavolo del giorno dopo, a Berlino, Tsipras era già uscito di scena,
relegato nelle sue turbolenze egee. L’ho trovata una scelta sbagliatissima e
diciamo pure offensiva. Rilanciare la democrazia significa, adesso soprattutto,
portare Tsipras ad ogni tavolo. Mentre la Grecia continua a dividere e a mettere
in rilievo tutte le nostre imbarazzanti contraddizioni.
Tra le tante riflessioni che Zignani mi ha inviato nel corso della stesura del
suo articolo, vorrei condividere un passaggio in particolare, perché esemplificativo dell’orientamento di quanto ha scritto: «La Grecia è stata, per così dire,
sequestrata. L’industria del sapere prende il posto dell’autenticità e
l’inautenticità non perde occasione per esprimere la sua tipica “dittatura” (è
la traduzione di Pietro Chiodi). Secondo me quei riferimenti all’essere sociale
e ai suoi modi d’essere, e al mondo del lavoro (curiosamente ce ne sono) si
fanno più significativi negli anni successivi. È un argomento forte. Heidegger
cercava anche lui una terza via non capitalista né sovietica per un’ontologia
che avesse anche un senso per la vita. Si può parlare di una qualche forma di
“critica sociale” da parte di Heidegger? Per me sì. Non credo che per Heidegger
possiamo solo raccontare: quel suo vitalismo, che detesta tanto la
storiografia, la cultura fatta con le tradizioni culturali e i libri polverosi,
vuol prendere possesso della vita autenticamente; l’ontologia intende
stravolgere la vecchia metafisica».
Per
quanto mi riguarda, ha colpito la mia attenzione il fatto che il filosofo
tedesco parli della Grecia, tutta, come isola. In questo suo viaggio persegue
una rappresentazione “isolana”. Ora diciamo che il territorio ellenico è in buona misura insulare ma non è comunque solo questo. E tuttavia il punto di vista del
viaggiatore nordico si concentra su tale “metafisico” peregrinare isola per isola,
ognuna con la propria grecità e stratificazione storica. Quasi che i singoli
approdi siano chiamati a dare concreta visualizzazione all’avventura del pensiero
in cerca del proprio centro.
Tra
gli altri, il passaggio sull’asiatico è forse il più notevole. A quel punto
della lettura lo snodo oriente-occidente staglia la Grecia nella sua perenne
dimensione di ponte, inteso ancora una volta in senso conoscitivo.
(Introduzione di Claudia Ciardi)
Heidegger nella Grecia sequestrata
di Paolo Zignani
Heidegger aveva messo tra
parentesi la Grecia reale, per sostituirla con la poesia di Hölderlin e con
sofisticate interpretazioni dei filosofi ateniesi, e il contraccolpo
sopravviene implacabile, per la necessità di un intervento personale, un’intrusione
dell’ontico capace di causare uno dei cortocircuiti che la sua filosofia, per
quanto anti-idealistica, sa sprigionare nell'urto con la realtà. Il filosofo ha
sentito il bisogno di andare oltre, preso dalla speranza di un nuovo inizio,
che la sua filosofia non poteva dare. Di qui la necessità di un impegno
personale, ma privatamente, in viaggio con la moglie. C’è un’ansia nel pensiero
di Heidegger, che non vuole fare della filosofia ma dedicarsi all’essere.
Invece, di nuovo, incontra una dittatura. Il desiderio di emancipazione –
insopprimibile - ha necessità di rinnovarsi, altrimenti prevarrà la furia
autodistruttiva dell’umanità.
L'unica dittatura
denunciata da Martin Heidegger è stata quella dell'inautenticità, che si può
esercitare solo perché la questione dell'essere è stata accantonata, in uno
scenario tormentato. Kant poneva, in una famosa pagina della Critica della
ragion pura, fra Analitica e Dialettica trascendentale, l'esistenza di un'isola
della verità, dove vigono le norme dell'intelletto puro, circondata dall'oceano
tempestoso delle parvenze. La condizione umana sembra molto più complicata in “Essere
e tempo”. L'estraniazione è il modo di essere del Si, che è la dimensione della
vita quotidiana impersonale: espropriato da sé per la sua debolezza, l'uomo,
quando sopporta d'essere autentico, si apre a un qui e a un con chi fare
storia: lo attende però una difficile battaglia. Strappato dalle sue radici,
perso tra le cose, strumentalizzato dalla tecnica, l'uomo si accorge di far
parte di un mondo in cui non è altro che un oggetto, un mezzo, a causa
dell'organizzazione economica, politica e sociale, in una dittatura
impersonale, implicita, che distrae continuamente e impone discontinuità
all'Esserci, autoaffermandosi spontaneamente senza bisogno di legittimazione e
di motivazione. Heidegger descrive nei suoi tratti ontologici la disponibilità
umana alla sottomissione inconsapevole e anonima, con la sottrazione della
Cura. Permane la tendenza al mimetismo del Si inautentico privo di sé.
L'analisi del dominio della tecnica, però, nella "Questione della
tecnica" (1953) dimostra che l'estraniazione è ben più vistosa e
accompagnata dalla consapevolezza dello sfruttamento della natura, esseri umani
compresi. L'inautentico inoltre sostituisce l'autentico e viceversa, questo è
l'evento che avviene in un ritmo di cadute e riappropriazioni imprevedibili:
uno scambio, non tra due realtà diverse e nemmeno in una relazione di
circolarità ermeneutica che passi per organizzazione della conoscenza, nascondendo
in realtà conflittualità non s'appianano. E' forse l'autentico a descrivere
questi processi, ma una simile meta-fenomenologia non viene a parola. Senza
l'autenticità l'Esserci si smarrisce: l'autenticità si fonda però su un discutibile
concetto di storicità. Tra l'individuo e la storia non c'è infatti una
relazione così diretta e immediata, se non nella prospettiva difficilmente
comunicabile dell'individuo e delle sue relazioni: le autenticità come possono
"comunicare", nella storicità comune, se non mediante la
storiografia? Heidegger segue invece un vitalismo antistoriografico. La
storicità comune incontra così il limite di una storicità autentica ma privata
e incomunicabile. L'Esserci è un essere storico, e tuttavia in quanto mortale
progetto gettato, non può far altro che aprirsi alla scelta delle possibilità
tramandate, senza che la storiografia debba per forza occuparsene: l'autentico
può non far rumore e non lasciare alcuna traccia. L'inautenticità invece è
molto più organizzata e aggressiva, è pubblica, di massa, priva di
soggettività, lavora inconsapevolmente per l'industrializzazione del mondo,
mentre l'autenticità, malgrado il carattere originario e imprescindibile
dell'essere-assieme - entra in azione soltanto nello scenario della vita
individuale e rende soltanto possibile l'essere assieme storico autentico. La
dittatura dell'inautentico produce una storiografia, che riesce a sostituire
agevolmente, commercialmente, la storicità autentica e la conoscenza autentica
che l'accompagna e che non necessariamente diventa storiografia dominante.
L'ontologia esistenziale è inoltre un ritmo che si ripete, con due fasi che si
alternano con variabilità imprevedibile. Quando l'Esserci diventa se stesso si
ritrova ad appartenere all'Essere e deve affrontare la propria storicità
prendendo la "decisione anticipatrice". Il -ci viene annullato in
questa autenticità. L'Esserci viene richiamato nella storia, ovvero
nell'istante in cui si confronta con le possibilità che gli vengono tramandate.
Inevitabilmente l'Esserci ricade nel -ci, dove dovrà disperdersi tra le cose
fino a quando la chiamata della cura, un silenzio angoscioso, lo riporterà di
nuovo al suo destino di essere storico. Con questo ritmo l'Esserci si sposta
nelle e fra le dimensioni della temporalità deformandosi come il tempo stesso.
Struttura precaria ma complessa che si riconfigura continuamente, l'Esserci si
realizza nell'anonimato di massa e poi si appropria di sè, annullando però la
vita quotidiana. L'Esserci passa dalla dittatura del Si anonimo alla
"decisione" (il suo destino) che lo rende libero e autentico. La
chiamata della cura lo modifica all'improvviso. E' un flusso di modalità
temporali ed esistenziali che si intrecciano congiungendo futuro e passato e abbandonando
l'idea metafisica di soggettività sostanziale e di temporalità lineare.
Allora perché visitare la
Grecia, se è la storicità autentica a farci comprendere il linguaggio in cui
abitiamo, il linguaggio dell'Aletheia? Se è silenziosa la chiamata della Cura,
perché il silenzio diventa lingua greca? Se poi la poesia di Hölderlin disvela
l'eredità dell'antica Grecia, perché partire fra i turisti? Quando Heidegger
nel 1964 visita per la prima volta la Grecia, la trova per così dire
sequestrata, interpretata, come sostituita con una copia, invasa da un esercito
nemico. Heidegger è inevitabilmente critico, viste le premesse, verso il
sistema economico-politico nel diario di viaggio che dedica alla moglie:
"Una potenza estranea aveva preso possesso di quella terra con il sistema
delle prenotazioni e dei viaggi organizzati". E' l'industria del turismo
che s'impone e allontana da "ciò che è", rendendo "incapaci di
pensare alla frattura che separa l'oggi dallo ieri e di riconoscere il destino
che regna nello spazio di questa frattura". "La tecnica moderna e,
con essa, l'industrializzazione del mondo attuatasi con l'ausilio della
scienza, si apprestano, con il loro elemento inarrestabile [Unaufhaltsames] a
dissolvere ogni possibilità di soggiorno [Aufenthalt]". Non resta alcun
luogo nel mondo industrializzato, amministrato, dominato dalla pianificazione
calcolante, non c'è possibilità di pensare l'elemento greco, addirittura ci si
sente in ogni luogo a casa propria; ma in che modo? Con l'aiuto della tecnica,
come chi scatta fotografie "rinunciando alla propria memoria per
sostituirla con un prodotto della tecnica". L'uomo è sostituito, messo da
parte, la sua esperienza e la sua storia non servono più, soprattutto non è
utile la sua decisione, la sua esistenza personale, caratterizzata e vitale.
Oggi non si può soggiornare, dimorare, abitare, l'Esserci è nel mondo ma senza
esperienza reale. Non si può nemmeno evitare di confrontarsi con la violenza
dell'essenza della tecnica. Torna il confronto anche con l'elemento asiatico (pag.
38 di "Soggiorni. Viaggio in Grecia", ed. Guanda), ovvero
probabilmente l'Unione sovietica e il rischio di una guerra atomica che
distrugga l'umanità. Inevitabile quindi che la “chiamata” della Cura assuma
un’altra forma.
L'industrializzazione,
oggi, dopo Heidegger, è ancora più invasiva: ha conquistato ogni attività,
l'elaborazione e diffusione del sapere, ha trasformato l'economia e ogni
esperienza del mondo, occupato il tempo libero, colonizzato la socialità,
trasformandola con dei programmi informatici. Sembra ad Heidegger che occuparsi
della Grecia antica sia qualcosa di irreale. L'industrializzazione oggi appare
più differenziata e caotica, capace di generare o sostenere nuove singolarità,
meno trionfante eppure ancor meno contrastata. Heidegger non vede la crisi
dell'industrializzazione stessa, una crisi continua, vede l'uomo "misero e
confuso", in balia di un "progresso senza futuro".
L'industrializzazione si rivolge a un consumatore che ha le stesse
caratteristiche dell'inautenticità. L'inautenticità infatti fa sì che
l'individuo sia sradicato, privo di un suo tempo e luogo, attivo anonimamente,
confuso con gli altri, solo in una dimensione universale, in cui ogni tempo e
luogo si equivalgono: è il fenomeno dello sradicamento, una delle categorie
"abusive", non dichiarate, non fenomenologiche ma storico-culturali,
che ricorrono clandestinamente in "Essere e tempo".
Il § 27: «Nell'utilizzazione di pubblici mezzi di trasporto, nell'impiego di mezzi d'informazione [giornali n.d.r.] ognuno è altro fra gli altri. Questo esser- 'l'un con l'altro' omologa completamente il proprio esserci al modo d'essere "degli altri", e fa in modo che gli altri scompaiano ancora più nella loro diversità e nella loro distinzione. In questa non vistosità e non-constatabilità il Si dispiega la sua autentica dittatura» (pag. 185 trad. Marini, Oscar Mondadori) .
Il § 27: «Nell'utilizzazione di pubblici mezzi di trasporto, nell'impiego di mezzi d'informazione [giornali n.d.r.] ognuno è altro fra gli altri. Questo esser- 'l'un con l'altro' omologa completamente il proprio esserci al modo d'essere "degli altri", e fa in modo che gli altri scompaiano ancora più nella loro diversità e nella loro distinzione. In questa non vistosità e non-constatabilità il Si dispiega la sua autentica dittatura» (pag. 185 trad. Marini, Oscar Mondadori) .
È questa la dittatura
segnalata da Heidegger, che estrania e sradica l'Esserci, anche se
l'inautenticità è tutt'altro che un fenomeno negativo: è la modalità forse prevalente
ma provvisoria, destinata a uno scambio ritmico e imprevedibile con
l'autenticità, possibile solo nell'intreccio di modalità temporali differenti e
simultanee. La "chiamata della Cura" però è silenziosa. L'autenticità
può interrompere il flusso delle chiacchiere in solo modo, con il silenzio.
L'inautentico non ha territorio ed è sradicato, essenzialmente, dalla storia,
perché la temporalità autentica gli rimane estranea. L'autentico invece ripete
la possibilità ereditata nella lotta comune (paragrafi 72-75): la storicità
autentica svela l'essere nel mondo autentico. Solo l'autentico ha un rapporto
con territorio. È la temporalità autentica a disvelare l'ambiente in cui si
trova l'Esserci. La storicità semmai si attua con questa lotta alla tecnica,
nel tentativo che potrebbe ripartire dall'elemento greco, ammesso che si possa
manifestare in modo genuino. L'inautentico mette l'uomo in balia
dell'industria, del Gestell, della “imposizione”: Heidegger non vuole istituire
il collegamento, che violerebbe la purezza della descrizione fenomenologica
delle strutture esistenziali. Di fatto però, nel viaggio in Grecia, la
curiosità dei turisti rende ancora più invasiva l'industria del turismo e
l'esperienza della percezione dei monumenti di Atene diventa impossibile.
L'inautenticità si rivela allineata all'industrializzazione del mondo.
L'inautenticità consuma prodotti industriali, vive come deve vivere un
consumatore, innanzitutto di informazioni. L'industria consente a ciascuno di
produrre copie dell'ente alla mano, assecondando così l'avidità di possesso del
Si inautentico, che vuol aver già visto e saputo tutto, in modo che nulla resti
nascosto e misterioso. Non essendo nessuno, desoggettivato, è pervaso da un
desiderio incontrollato e pantagruelico. È un desiderio di dominio: l'individuo
desidera sentirsi al sicuro, avendo il controllo del suo mondo, poiché conosce
ormai tutto. Il Si inautentico vuole impadronirsi di un mondo ma vive in una
finzione e l'industria gliene fornisce i mezzi tecnici. Quel che conta però è
che ciò che è visto è posseduto, lo si può quindi riprodurre: la tecnica è già
attiva nel Si. L'industria così si afferma grazie a una volontà ben precisa di
strumentalizzare le tendenze dell'inautentico: l'autenticità invece non incontra
il mercato. E l'economia appassiona l'inautentico.
Soggiorni. Viaggio in
Grecia. A pag. 49: «Ciò che oggi chiamiamo mondo è lo
sterminato groviglio delle apparecchiature tecniche di informazione, che si è
imposto alla physis intatta prendendone totalmente possesso, ed è ormai
possibile conoscere la natura e intervenire sul suo funzionamento solo secondo
un calcolo».
Heidegger prende le mosse
dal vitalismo e dalla necessità di un'esperienza e di una decisione personali,
non dal bisogno di una documentazione storiografica accurata. Questa
eccezionalità dell'individuo si trova però a confronto con sistemi sociali ed
economici organizzati per rivolgersi a un pubblico di massa. Il mondo è
espropriato da una potenza anonima che funziona automaticamente, proprio come
l'Esserci perde se stesso nell'inautenticità, che lo consegna a un gioco
infinito e tuttavia insensato di rimandi da un ente intramondano all'altro.
Questa pianificazione calcolante è tanto umana che disumana: l'Esserci si
intrappola nel sistema razionale che ha creato con la forza della ragione. Il
mondo vuoto di senso, abbandonato dagli dèi, dove i templi greci non riescono a
esprimere l'elemento greco nella compagine delle percezioni, è proprio il mondo
creato dagli uomini. L'umanità si auto-aliena, si auto-espropria, inconsapevolmente,
seguendo semplicemente il proprio modo di vivere quotidianamente, che la
allontana dall'Essere, dalla physis, dalla Grecia antica. Nulla è accaduto per
colpa dolosa né per caso: Heidegger individua un'assunzione di responsabilità,
non accusa un dominio ostile o una moderna forza di tirannia. La forza di
questa desolazione è l'anonimato, il protagonismo di una folla coinvolta dalle
operazioni degli apparati industriali che hanno trasformato il mondo in un
meccanismo che a nessuno appartiene se non alla razionalità. Ma davvero non c'è
un colpevole? Non c'è sfruttamento e tirannia? Sfruttamento e tirannia, classi
dominanti, fanno parte della ratio dispiegata. Così il mondo è sparito:
l'Essere è assente, quindi anche l'uomo perde senso, dominato dal suo
razionalismo. L'inautenticità, modalità esistenziale, rende insuperabile
l'industrializzazione con la quale si declina spontaneamente.
(Di Paolo Zignani)
Edizione consigliata:
Martin Heidegger,
Soggiorni. Viaggio in Grecia,
Guanda editore, 2012
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