Ancora
il lugubre panno nero non è stato rimosso. Dicono sabato, buon per loro. C’è
una violenza in questo atto del coprire il David che fa leva su una profonda
ignoranza. Ma le due cose, si sa, vanno a braccetto. Il tutto contribuisce a
gettare ancor più nello sconforto dello scenario attuale che si aggiunge a
quello già raggelante e pesantissimo della pandemia e della sua gestione.
Dopo
la censura dell’opera letteraria con il caso di Dostoevskij all’università di
Milano – tutta la mia solidarietà a Paolo Nori – ecco puntuale la censura
dell’opera d’arte. Vi si legge una contraddizione malata – in quella dell’uomo
dubitante non vi sarebbe nulla di male, anzi. Ma qui c’è un’insicurezza
nevrotica, oltre che una sistematica ignoranza del fatto culturale, che ormai
permea vaste zone del nostro dibattito. O meglio, anche il dibattito è ormai
listato a lutto. Del resto, quando non si coglie la gravità insita nel mandare
armi e al contempo nel sostenere pubblicamente la pace, se non si coglie in
questo ragionamento un cortocircuito che basterebbe a spazzare via tutto il
resto, siamo davvero arrivati a un punto di non ritorno. L’università che si
chiude come una fortezza impenetrabile, che scaccia chi intenda preservare un
giudizio indipendente ed esercitare legittimamente il proprio senso critico,
l’università che ha paura di se stessa, del proprio compito di messaggera dei
saperi, che alza muri invece di farsi strumento di diffusione della conoscenza
nella società, non per i pochi, non per una sola classe sociale di appartenenza
ma per i molti, questa università ha abdicato al suo compito. Questa università
ha finito di insegnare, perché nei fatti dimostra di non voler insegnare.
Quanto
all’iniziativa di coprire il David mette i brividi. Se si voleva dare un
messaggio solidale e rassicurante, direi che si è lavorato all’esatto
contrario. Appena si posano gli occhi sulla statua incappucciata, si prova un gravoso
senso di angoscia. Proprio quello che l’opera d’arte è invece chiamata a
dissolvere. Nota a margine: le “vergogne” del capolavoro michelangiolesco sono
state coperte – con tanto di altra polemica nei mesi scorsi – anche alla copia
collocata al padiglione Italia di Dubai, perché la sua nudità non urtasse
nessuno.
Nel
dettaglio la storia di David che abbatte il gigante è un’allegoria politica
potentissima, un tassello imprescindibile della storia di Firenze, del suo
patrimonio identitario. La potenza cittadina nascente che s’innalza sulle
grandi. E come simbolo più esteso, il popolo che si risveglia e prende
coscienza della propria forza così da abbattere infine il gigante che lo sovrasta.
A
titolo d’esempio citiamo dal catalogo sulla mostra “Verrocchio il maestro di Leonardo”
(Palazzo Strozzi / Musei del Bargello, Firenze, 2019): «Lo scambio di consegne
tra Desiderio da Settignano e Andrea del Verrocchio s’inverò anche nella
produzione di effigi marmoree di eroi ed eroine dell’antichità, a mezzo busto e
di profilo. […] Sviluppando la traccia di Desiderio, Verrocchio aveva messo a
punto coppie di celebri condottieri affrontati, la cui accesa rivalità bellica
era insieme contrasto generazionale: il giovane Alessandro, il maturo Dario.
Questo tema fu poi carissimo a Leonardo, capace di rielaborarlo senza sosta nei
suoi disegni, e di stravolgere il tipo virile maturo fino a trarne le basi
della moderna caricatura. Prima che l’allievo liberasse le sue supreme
fantasie, Verrocchio aveva dato corpo al tipo giovanile del guerriero nella statua
del David, suo capolavoro bronzeo d’esordio: un’opera destinata presto a
imporsi anch’essa tra scolari, seguaci e colleghi, come modello di posa
elegante non meno che d’innocenza adolescenziale». Insomma intorno al David si
sono unite generazioni di artisti e alla sua carica simbolica è legato
l’immaginario politico, economico, creativo prerinascimentale e rinascimentale.
Un mito di fondazione a tutti gli effetti. Dunque, occultando il senso di
questa storia si voleva davvero esprimere vicinanza alla gente ucraina? Cioè
inscenando una morte del giovane e fino a quel momento insospettabile eroe che
si riscatta? Davvero di buon auspicio, non c’è che dire, in generale per le
sorti di tutti i popoli. Nella gestione al rilancio della crisi cui stiamo
assistendo, fra sfaceli produttivi e spettri nucleari, non sorprende che la
politica anziché farsi custode, anziché stringersi alla cittadinanza che
governa e che ha il compito di guidare, additi un fosco capolinea.
E
c’è da augurarsi che l’aver vestito a lutto il nostro patrimonio culturale non presagisca
cupamente le conseguenze dei pericoli reali che corriamo.
(Di
Claudia Ciardi)
Link
all’articolo >>>> La deriva dell'università
Su questo blog >>>> Il fuori tutto del nostro patrimonio culturale
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