9 marzo 2022

Il lutto della cultura genera mostri

 


Ancora il lugubre panno nero non è stato rimosso. Dicono sabato, buon per loro. C’è una violenza in questo atto del coprire il David che fa leva su una profonda ignoranza. Ma le due cose, si sa, vanno a braccetto. Il tutto contribuisce a gettare ancor più nello sconforto dello scenario attuale che si aggiunge a quello già raggelante e pesantissimo della pandemia e della sua gestione.
Dopo la censura dell’opera letteraria con il caso di Dostoevskij all’università di Milano – tutta la mia solidarietà a Paolo Nori – ecco puntuale la censura dell’opera d’arte. Vi si legge una contraddizione malata – in quella dell’uomo dubitante non vi sarebbe nulla di male, anzi. Ma qui c’è un’insicurezza nevrotica, oltre che una sistematica ignoranza del fatto culturale, che ormai permea vaste zone del nostro dibattito. O meglio, anche il dibattito è ormai listato a lutto. Del resto, quando non si coglie la gravità insita nel mandare armi e al contempo nel sostenere pubblicamente la pace, se non si coglie in questo ragionamento un cortocircuito che basterebbe a spazzare via tutto il resto, siamo davvero arrivati a un punto di non ritorno. L’università che si chiude come una fortezza impenetrabile, che scaccia chi intenda preservare un giudizio indipendente ed esercitare legittimamente il proprio senso critico, l’università che ha paura di se stessa, del proprio compito di messaggera dei saperi, che alza muri invece di farsi strumento di diffusione della conoscenza nella società, non per i pochi, non per una sola classe sociale di appartenenza ma per i molti, questa università ha abdicato al suo compito. Questa università ha finito di insegnare, perché nei fatti dimostra di non voler insegnare.
Quanto all’iniziativa di coprire il David mette i brividi. Se si voleva dare un messaggio solidale e rassicurante, direi che si è lavorato all’esatto contrario. Appena si posano gli occhi sulla statua incappucciata, si prova un gravoso senso di angoscia. Proprio quello che l’opera d’arte è invece chiamata a dissolvere. Nota a margine: le “vergogne” del capolavoro michelangiolesco sono state coperte – con tanto di altra polemica nei mesi scorsi – anche alla copia collocata al padiglione Italia di Dubai, perché la sua nudità non urtasse nessuno.
Nel dettaglio la storia di David che abbatte il gigante è un’allegoria politica potentissima, un tassello imprescindibile della storia di Firenze, del suo patrimonio identitario. La potenza cittadina nascente che s’innalza sulle grandi. E come simbolo più esteso, il popolo che si risveglia e prende coscienza della propria forza così da abbattere infine il gigante che lo sovrasta.
A titolo d’esempio citiamo dal catalogo sulla mostra “Verrocchio il maestro di Leonardo” (Palazzo Strozzi / Musei del Bargello, Firenze, 2019): «Lo scambio di consegne tra Desiderio da Settignano e Andrea del Verrocchio s’inverò anche nella produzione di effigi marmoree di eroi ed eroine dell’antichità, a mezzo busto e di profilo. […] Sviluppando la traccia di Desiderio, Verrocchio aveva messo a punto coppie di celebri condottieri affrontati, la cui accesa rivalità bellica era insieme contrasto generazionale: il giovane Alessandro, il maturo Dario. Questo tema fu poi carissimo a Leonardo, capace di rielaborarlo senza sosta nei suoi disegni, e di stravolgere il tipo virile maturo fino a trarne le basi della moderna caricatura. Prima che l’allievo liberasse le sue supreme fantasie, Verrocchio aveva dato corpo al tipo giovanile del guerriero nella statua del David, suo capolavoro bronzeo d’esordio: un’opera destinata presto a imporsi anch’essa tra scolari, seguaci e colleghi, come modello di posa elegante non meno che d’innocenza adolescenziale». Insomma intorno al David si sono unite generazioni di artisti e alla sua carica simbolica è legato l’immaginario politico, economico, creativo prerinascimentale e rinascimentale. Un mito di fondazione a tutti gli effetti. Dunque, occultando il senso di questa storia si voleva davvero esprimere vicinanza alla gente ucraina? Cioè inscenando una morte del giovane e fino a quel momento insospettabile eroe che si riscatta? Davvero di buon auspicio, non c’è che dire, in generale per le sorti di tutti i popoli. Nella gestione al rilancio della crisi cui stiamo assistendo, fra sfaceli produttivi e spettri nucleari, non sorprende che la politica anziché farsi custode, anziché stringersi alla cittadinanza che governa e che ha il compito di guidare, additi un fosco capolinea.
E c’è da augurarsi che l’aver vestito a lutto il nostro patrimonio culturale non presagisca cupamente le conseguenze dei pericoli reali che corriamo.

 
(Di Claudia Ciardi)

 

Link all’articolo >>>> La deriva dell'università

Su questo blog >>>> Il fuori tutto del nostro patrimonio culturale

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