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11 luglio 2016

Germania e orientalismo



Tänzerinnen - Emil Nolde




A partire dalla fine del Settecento crebbe in Europa l’interesse per le culture orientali, soprattutto relativamente all’India e al sanscrito.
Stando a quanto era solito dichiarare sir William Jones, forse con qualche semplificazione di troppo, il vecchio continente aveva imparato arabo e cinese grazie alla mediazione di olandesi e francesi, mentre doveva la scoperta del sanscrito agli inglesi. Jones fu tra i primi conoscitori e divulgatori della materia, occupandosi di raccogliere in modo sistematico alcune teorie che erano state formulate tra la fine del Cinquecento e il Seicento da missionari e mercanti che in quelle terre avevano prestato la loro opera. Pensiamo al fiorentino Filippo Sassetti, vissuto in India tra il 1583-’88, che nelle sue lettere annotò somiglianze fra alcune parole sanscrite e le corrispondenti in italiano, così come già dalla fine del Seicento si evidenziarono affinità tra l’antica lingua indiana, il greco e il latino.
Da Jones in avanti la linguistica comparata fissò le sue basi, trovando in Germania uno dei suoi terreni più fertili. Nacquero qui, infatti, numerosi istituti per l’insegnamento del sanscrito, e in generale quella propensione allo studio delle cose orientali che avrebbe conosciuto un significativo incremento nella seconda metà dell’Ottocento, quando si iniziò a fare di tali tematiche un uso politico. Dalla prima cattedra di sanscrito assegnata ad A. W. Schlegel presso l’università di Bonn nel 1818, i finanziamenti statali per le missioni all’estero e i centri studi in patria aumentarono sempre più, raggiungendo il loro massimo a inizio Novecento. Di una simile evoluzione della ricerca in senso funzionale al potere è emblematica la vicenda di Carl Andreas (1846-1930), dal 1903 professore di lingue asiatiche all’università di Gottinga, marito della nota scrittrice Lou Salomé. Costui, eclettica figura di intellettuale e viaggiatore, si dedicò agli studi orientali in una fase ormai “politicizzata” tanto che ne ebbe non pochi guai a livello personale, essendo poco incline a lavorare per finalità esclusivamente istituzionali. Pur in possesso di un ingegno brillante la sua carriera si sviluppò piuttosto tardi e non senza ostilità accademiche.
Mentre fin dagli inizi per gli inglesi l’interesse culturale si saldava su quello coloniale, i tedeschi si avvicinarono dunque all’orientalismo da un’ottica del tutto diversa. Dapprima fu uno sguardo filosofico, rivolto per certi versi alla politica interna e da questa, per così dire, destato. La passione per l’oriente crebbe in seno al romanticismo, coltivato nel famoso gruppo di Jena, animato dai fratelli Schlegel. Secondo questi intellettuali il massimo grado di romanticismo andava cercato in oriente, sorta di culla di una spiritualità originaria, la più profonda e autentica sperimentata dagli uomini. La Restaurazione arrestò il percorso delle riforme liberali, infrangendo i sogni di progresso nutriti fino a quel momento dai maggiori studiosi e letterati dell’epoca. Ciò spinse il tardo romanticismo a una sorta di fuga dalla realtà, cercando riparo nell’ideale dell’Heimat, la piccola patria incarnata dalla gente comune che appariva come risparmiata dal contagio dei fallimentari tentativi di rinnovamento storico. Ha quindi origine quel pathos nei confronti del Volk, il popolo, che oltre a ispirare un cospicuo filone di studi costituisce anche il primo seme di un nazionalismo di matrice etnica destinato, circa un secolo più tardi, a imprimere una drammatica svolta nelle vicende tedesche e nel resto d’Europa. Un dibattito che continua a segnare il passo pure in questo inizio di millennio, dove l’idea di popolo sembra farsi carico delle turbolenze sperimentate dalle democrazie occidentali. L’attuale dicotomia tra populismo e istanze popolari è largamente influenzata e viziata dagli orrori recenti, che hanno visto fascismo e nazionalsocialismo cavalcare le paure della massa. Il ricorso fin troppo frequente al concetto di populismo nei media o in un qualsiasi confronto politico denota questo complesso, ma anche soprattutto un abuso altrettanto ideologico, e dunque incline alla disonestà intellettuale, di pensieri verso i quali bisognerebbe invece essere molto meno prevenuti, onde evitare, nella foga di denunciarli, che in certe tesi d’opposizione non si facciano strada integralismi ben peggiori.
Sul piano degli studi la centralità riservata alla presunta genuinità del popolo, promosse in Germania la raccolta delle tradizioni mitologiche e lo scavo nei patrimoni folklorici. Valga a riguardo la celebre opera dei fratelli Grimm. Jacob Grimm (1785-1863), scopritore della legge sulla rotazione consonantica tedesca che porta il suo nome, è stato principalmente un linguista, oltre ad aver coadiuvato il fratello Wilhelm nel recupero delle più importanti fiabe del loro paese. Entrambi furono anche molto attivi nella diffusione del movimento democratico tedesco sfociata nei moti del ’48, repressi nel sangue dal regno di Prussia, di cui Theodore Fontane (1819-1898) darà conto in pagine autobiografiche assai intense, parlando di quei giorni vissuti per le strade di Berlino. La vicenda dei Grimm è la rappresentazione esatta del nodo di istanze politiche e culturali che si affacciano nella società tedesca tra l’inizio e la metà dell’Ottocento. Aspetto essenziale dell’immaginario romantico, si diceva, è la presunta purezza del sistema linguistico e filosofico-religioso indiano, con particolare riferimento al buddhismo. In una Germania in crisi d’identità nazionale risulta più che comprensibile la ricerca di un antenato da cui trarre piena legittimazione.
Alcuni dei filosofi di punta che hanno legato il loro nome alla storia della disciplina non solo in terra tedesca, ma più latamente in ambito occidentale, sentirono il bisogno di cimentarsi nell’approfondimento dei testi sacri indiani e, in alcuni casi, nella loro traduzione. Ciò favorì anche lo sviluppo di un interessante dibattito su virtù e difetti del tradurre, tema molto acceso oltralpe, che nel Novecento mostrerà ancora tutta la sua vitalità attraverso Walter Benjamin, autore del noto saggio sul compito del traduttore. Gli studi comparativi di W. von Humboldt (1769-1859), l’esaltazione della spiritualità indiana da parte di Schelling e Schopenhauer, lo scetticismo di Hegel che pure nel contestare l’entusiasmo romantico verso l’oriente, non si sottrasse alla discussione, la superiorità accordata da Nietzsche al buddhismo nei confronti del cristianesimo, destinata a tradursi in una nuova religiosità occidentale responsabile di una palingenesi del pensiero; tali assunti ci mostrano quanto pervasivo e influente sia stato l’orientalismo nella cultura tedesca. Desiderosa di essere ponte tra est e ovest, la Germania colse gradualmente negli studi asiatici l’opportunità politica di un riscatto del proprio prestigio culturale e lo strumento di una rigenerazione linguistica. Il tedesco, nel dialogo con le altre lingue, avrebbe accolto in sé «tutti i tesori della scienza e dell’arte straniere insieme a quelli propri», secondo F. Schleichermacher (1768-1834). Visione simile a quella espressa da Goethe circa una Weltliteratur, una letteratura mondiale in lingua tedesca, come si può evincere da una nota sulle traduzioni pubblicata alla fine del suo Divano occidentale-orientale (1819). 
Per la Germania, più ancora che per gli altri paesi europei, l’oriente è stato il fiume in cui placare la sete spirituale, ideologica e metafisica di un occidente stanco e prosciugato, ma anche lo specchio magico col quale cogliere un riflesso di sé. Il fervido dibattito attorno a simili materie svela, infatti, per intero la necessità di forgiare una definizione di se stessi per contrasto.


(Di Claudia Ciardi)



13 giugno 2015

Lou Andreas Salomé - Una notte

Studiare la figura di Lou e avvicinarne l’opera con il lavoro di traduzione mi ha consentito di entrare in un mondo affascinante dove si respirano l’incontro e l’estrema sintesi culturale tra oriente e occidente, tema a me molto caro. La Russia, essendo lei di origini pietroburghesi, e poi ancora la Persia (Iran), attraverso il marito, Friedrich Carl Andreas, bussano alle porte della sua patria creativa, i cui mezzi d’espressione sono la lingua e la letteratura tedesca. E tedeschi sono pure la maggioranza dei suoi sodalizi, legati ai più diversi campi del sapere, dalla politica alla medicina, fino alla conoscenza, per certi versi rivelatrice, di Sigmund Freud.
Quanto all’orientalismo, in Germania si afferma a partire da Bismarck che divenne promotore di un progetto per l’invio in Medio Oriente di rappresentanti diplomatici e militari. Affinché questo personale potesse ricevere un’adeguata preparazione, nel 1887 fu fondato a Berlino l’Istituto per le Lingue orientali. Carl Andreas ricevette il posto di professore di persiano e di turco. Era tuttavia uno studioso puro e mal si adattava alle politiche accademiche, in linea con le direttive di utilità e profitto tracciate dal governo.
Questo provocò una rottura che ebbe conseguenze non irrilevanti sul piano della sua carriera e, ancor più, del proprio sostentamento economico. La vicenda si risolse nel 1903, anno della sua riabilitazione, quando fu chiamato a ricoprire la cattedra di lingue asiatiche all’università di Gottinga.
Politica dunque, e solo in minima parte attrattiva culturale o, come fu per diversi artisti dell’epoca, moda, allusione senza coinvolgimento, esotismo estetico. Ma pure in tal caso con qualche eccezione: si pensi al polimorfismo orientaleggiante che pervade i libri della Lasker-Schüler
Lou Andreas Salomé scrisse molto, anche per bisogno come ebbe a ripetere in diverse circostanze. Assai più capace nella saggistica, le sue opere narrative non mancarono del favore di critica e lettori. La generosità degli amici che orbitavano intorno al variegato panorama editoriale tedesco, la aiutò a procurarle non solo una certa fama ma anche quei mezzi che le furono utilissimi per poter viaggiare pressoché ininterrottamente, coltivando i tanti scambi con intellettuali e artisti, vitali allo sviluppo della sua personalità.
Il giovane scrittore che legge queste cose prova un certo disagio a raffrontarle alla propria esperienza. Ne ho parlato qualche tempo fa, forse proprio sull’onda di un simile intrecciarsi, sotto i miei occhi, di non poche situazioni la cui costante era proprio la solidarietà tra studiosi. Come sarebbe possibile e pensabile oggi dalle proprie collaborazioni – almeno in Italia, ma l’aria che ho respirato fuori non mi è parsa animata da maggiore slancio – rimediare anche solo il premio, per non dire il compenso materiale, utile a spostarsi, a fare un viaggio, a raggiungere qualcuno che sia in grado a sua volta di farci sviluppare nuovi sodalizi, di insegnarci qualcosa? Mi pare abbastanza arduo. E ciò spiega anche lo scarso entusiasmo che si respira, fin troppo spesso, tra gli addetti ai lavori. Ma soprattutto, al di là delle condizioni materiali – necessarie – che in passato permettevano il realizzarsi di questi incontri, non c’era la fatica del crearsi di un rapporto, non si girava attorno alle cose, non ci si perdeva in congetture sulla convenienza di avere o meno davanti una persona: chi meritava di essere coinvolto in una discussione non veniva escluso, ma cercato e fatto arrivare dove lo si riteneva utile. A costo di disaccordi, contrasti e perfino scissioni – emblematico proprio il caso della scuola freudiana – era comunque importante stare insieme, coltivare i contatti con una certa assiduità, stimolarsi. A me pare che proprio questa sia stata la grande forza, anche e soprattutto creativa, insita nell’esaltante ventennio culturale che va dalla fine dell’Ottocento all’inizio del Novecento.

(Di Claudia Ciardi)



Lou Andreas Salomé, Una notte,
a cura di Claudia Ciardi,
traduzione di Claudia Ciardi e Katharina Majer,
Via del Vento edizioni, giugno 2015
ISBN 978-88-6226-079-4
Euro 4,00

Scheda del libro/ Book snippet

Collection/ Collana «I quaderni di Via del Vento»


Di Lou Andreas Salomé, amica e compagna di numerosi intellettuali, quali Nietzsche, Rilke, Freud, moglie del noto orientalista Carl Andreas, studiosa eclettica e grande viaggiatrice, fra le pioniere della psicoterapia, queste edizioni presentano un racconto inedito in Italia. 


From the book:
«Dapprima ci pensa con ostinata amarezza, con disperato struggimento, si mette a girarci intorno, sente di essere proprio infelice, poi prova terrore e cerca inutilmente di staccarsi da lui. Crede ancora di sentire il discorso di poc’anzi ma stavolta non è solo la sua ragione a seguire le parole – l’intera atmosfera della morte scivola sopra di lei e l’afferra.
È come se fosse stata scaraventata fuori da un giardino di rose sul bordo nudo di uno strapiombo dove s’infrange il mare. Ma non è sola, piuttosto sono con lei tutte le persone – l’essere umano essenzialmente – ogni singolo essere che vive, ama e muore. Si sente legata nel pieno dell’affanno alla grande totale sofferenza di tutto l’esistere, la sua esigua, isolata pena d’amore svanisce e s’inabissa. Ora non avrebbe potuto baciare e neppure dormire. Siede, le mani intrecciate attorno alle ginocchia, e con turbati occhi aperti fissa la notte. 
Nella lampada langue il lucignolo. Si alza lentamente e lo estingue. Il cielo sopra l’ospedale inizia a tingersi lievemente di rosso. Passano bianche caliginose nubi mattutine. Dalle chiome dei castagni che si levano come una nera massa compatta si ode il basso verso assonnato di un uccello. Qua e là una finestra illuminata degli edifici laterali getta il suo bagliore nello scuro groviglio delle foglie, e un ramo carico di fiori risalta».


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