Studioso
di letteratura, linguaggi, storia e assetti sociali, originario di Sofia, dov’è
nato nel ’39, Tzvetan Todorov si può forse definire tra i pensatori più
brillanti dell’età contemporanea, voce
critica delle attuali derive risvegliate nelle nostre democrazie dai rovesci
economici e in particolare dai profondi cambiamenti in atto nel mercato del
lavoro, se vogliamo la principale causa e controparte dei problemi da cui siamo investiti. Qualsiasi analisi dei perturbamenti politici
degli ultimi anni non può prescindere dal divario sociale che trova una base
sempre più ampia, non solo in Europa ma ancor più diffusamente fuori da questa.
Qui, gli squilibri regionali ereditati dal colonialismo, esasperati dalla
desertificazione prodotta dal modello globale, includendo guerre per procura e
ogni genere di conflittualità antica e recente, nel quadro di un incremento
demografico che non conosce battute d’arresto, non allenterà certo la pressione
migratoria verso il continente, anzi per i prossimi anni si calcola verosimilmente un
aumento dei flussi.
Le
nostre società sono dunque destinate al mutamento sotto diversi aspetti e se la
classe politica non si dimostra all’altezza di saper intercettare e risolvere
le criticità che tali fenomeni sollevano, saranno inevitabili situazioni di graduale
chiusura verso l’esterno, con conseguente involuzione democratica, incertezza e
definitivo impoverimento materiale. Nei suoi scritti Todorov ci invita a
considerare i cambiamenti in un’ottica costruttiva. Se, a livello psicologico, la
paura per ciò che abbiamo di fronte è giustificabile, può diventare un aspetto
invalidante nella ricerca di soluzioni e inficiare la lucidità con cui tali
esiti andrebbero conseguiti. Incoraggiare le crisi, dice Todorov, col pretesto
che possano veicolare forme diverse di creatività e produrre rovesciamenti in
grado di inaugurare nuovi cicli storici, è pericoloso. Le fratture rischiano di
compromettere a lungo quel che in realtà si sarebbe voluto rafforzare o mettere
in discussione.
Francese
di adozione, dopo un lungo impegno nell’ambito della ricerca umanistica, Todorov
è scomparso all’inizio di febbraio di quest’anno. Con lui se ne va una voce
importante in una fase assai delicata del dibattito intellettuale e politico
non solo in Francia ma in tutta Europa. In maniera un po’ paradossale,
in un mondo diviso e sull’orlo della catastrofe, ai tempi della sua formazione era infatti ancora possibile
divenire quel che si aveva in mente, senza rispettare schemi o fare aperta professione
di fede verso i riti del potere, grazie alla presenza di fondi svincolati da
eccessi burocratici o nevrosi governative. Non che l’avventura di Todorov a
Parigi sia stata semplice, specie nei primi tempi, ma ad ogni modo gli sono
stati offerti sbocchi e, soprattutto, è stato ascoltato e valorizzato per
quelle erano le sue attitudini. Nelle sue pagine autobiografiche ci tiene a
rimarcare quest’aspetto, perché oggi con fin troppa facilità lo trascuriamo,
non accorgendoci che è invece uno dei primi produttori di idiosincrasie e altre
incomprensioni sul terreno degli studi, oltre che della didattica. E proprio da
qui prende le mosse il suo folgorante saggio in difesa della letteratura.
Da campo d’elezione per osservare il mondo e coglierlo nei suoi aspetti più
profondi, la materia letteraria dal Novecento in poi si è ridotta a elemento
statico su cui verificare la validità di un metodo d’analisi anziché di un
altro. Al punto che i mezzi della critica, le impalcature per così dire che
vengono innalzate intorno alla parola letteraria in quanto funzionali a
interpretarla, finiscono per diventare prevalenti sul senso vero e proprio; più
che scoprire la bellezza, la genuinità della creazione, insomma, nascondono.
Todorov vuole mettere in guardia da una simile visione meccanicista dell’opera
letteraria e non si fa problemi a dichiarare che il formalismo nella scrittura
come nell’insegnamento ha il vizio di frammentare, destrutturando l’insieme,
quel tutto inscindibile che conserva la sacra scintilla dell’arte, e che è
qualcosa di non esattamente spiegabile ma che attiene alla sensibilità di
ognuno.
A
quanto pare, nel mare agitato del contemporaneo tra crisi di valori e naufragi
politici, l’inautenticità che governa il nostro rapporto con le fonti del
sapere e le sue manifestazioni artistiche incide non poco. Qualcuno parla non
a caso di un’implosione già in atto delle professioni legate alla cultura. Se
da una parte le occupazioni che vengono definite creative sono destinate ad aumentare, è pur
vero che si va configurando una fase transitoria piuttosto incerta, fin
dall’immediato rivelatrice di non poche difficoltà sul reclutamento concreto
dei singoli. Forse la rilettura di queste
pagine di Todorov aiuta a indagare sulle cause che ci hanno portato a imboccare
un simile vicolo cieco, con la prospettiva di riprendere un dialogo con la realtà,
disertata a favore di un’inservibile astrazione.
(Di
Claudia Ciardi)
Edizione consigliata:
Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo,
Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo,
traduzione di Emanuele Lana,
Garzanti, 2015
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