C’è
chi lo ha definito romanzo occultista per eccellenza, chi vi ha scorto attinenze con le allegorie massoniche o le ritualità legate in generale
alla sfera dell’esoterismo e dell’alchimia, chi ne ha fornito
un’interpretazione analitica dove luoghi e personaggi rappresenterebbero i
diversi stadi della coscienza. Ci sono infine quelli che, nel rovesciamento
geniale di un mondo magico con le sue insidie e i premi per coloro che osano
avventurarsi, hanno privilegiato la rappresentazione delle turbolenze nella
società americana dell’ultimo decennio dell’Ottocento, scossa da problemi
economici, tensioni fra agrari e industriali, crisi del sistema aureo. Nato nel
1856 a Chittenango, una piccola località nello stato di New York, il cui nome
basterebbe da solo a ispirare un racconto di fantasia, Lyman Frank Baum,
conosciuto per essere l’autore di Il meraviglioso mago di Oz, sperimenta
precocemente lo scontro con l’autorità del padre, un ricco petroliere sordo ai
suoi guizzi creativi e che vorrebbe farne un allievo modello all’accademia
militare. Baum figlio si ribella dunque all’ingombrante personalità del
genitore, prendendo una strada molto diversa. Davanti a lui, al pari dei
protagonisti che animano le sue storie, si apre una via difficile in cerca di
se stesso, tra lavori di fortuna e voglia di dire la sua nel mondo letterario.
L’impiego presso l’«Aberdeen Saturday Pioneer», dove diviene in breve
editorialista apprezzato e influente, gli cambia decisamente le cose. Questa
posizione rispettabile, vicina alle sue attitudini, gli offre una relativa
tranquillità economica, consentendogli di non rinunciare alla scrittura in
proprio. Inoltre, il mestiere di giornalista lo immerge completamente nelle
vicissitudini del suo paese, sulle quali si trova ad avere uno sguardo
privilegiato. Nel 1887 il Kansas, terra di piccoli agricoltori che resistono
alle grandi concentrazioni fondiarie, vive una crisi drammatica. La lunga
siccità e le condizioni sempre più sfavorevoli poste dalle banche, vedono il
fallimento di una media di tre fattorie su quattro, schiacciate dal peso delle
ipoteche. Tale episodio è l’immagine plastica dei cambiamenti in atto negli
Stati Uniti lanciati verso un periodo transitorio all’apparenza ingovernabile,
nel quale la politica tenta d’inserirsi con nuove proposte per recuperare
milioni di cittadini estromessi violentemente dalla contrattazione democratica.
Si tratta del cosiddetto populismo americano di fine Ottocento che vede la
partecipazione di William Jennings Bryan, il maggior esponente di partito, a
tre consecutive elezioni presidenziali, nel 1896, 1900 e 1904. Se Bryan venne
sconfitto, non riuscendo a saldare le istanze degli operai del nord-est,
impiegati nei nascenti grandi poli industriali del paese, sul malcontento del
ceto contadino che pure costituiva ancora la base produttiva della nazione, è
pur vero che il populismo portò un vento nuovo da cui gli assetti politici
uscirono profondamente cambiati. Metaforicamente si è inteso vedere nei
personaggi di Oz la stratificazione di quel momento storico, un eccentrico
affresco dove lo spaventapasseri è il simbolo del mondo rurale, cocciuto e
senza cervello – secondo gli attacchi dei detrattori di allora insofferenti
alla sua adesione compatta al programma populista – mentre l’uomo di latta
personifica la classe operaia che non viene in minima parte toccato o scalfito
da ciò che preme per un rovesciamento degli equilibri. Tuttavia, stando all’impianto narrativo di L. F. Baum, che tra l’altro fu anche un teosofo molto
seguito (dal 1892, quindi due anni dopo l’uscita del celebre romanzo di
fantasia, risultando ufficialmente iscritto alla Società teosofica insieme alla
moglie) si vede come questo capitolo di un’America conflittuale in cerca di una
terza via politica per comporre le proprie lacerazioni e mediare
l’impenetrabilità del monopolio bancario, ipotecario, ferroviario, petrolifero,
sia raccontata con una certa indulgenza, considerando le possibilità concrete
dell’utopia. Un tornado si leva improvviso nella grigia e sterminata prateria
del Kansas, è il vento politico sospinto a sua volta dal vento della storia, è
il sollevarsi di una società che interroga se stessa sul cammino da
intraprendere. Dorothy – dal greco “doron”, dono – è l’inconsapevole
ambasciatrice delle nuove istanze in un mondo sconosciuto, da esplorare e
rifondare nei suoi centri di potere. Trasportata verso l’ignoto, a bordo della
sua precaria casetta di legno scossa da tutte le parti, alla fine del viaggio atterra
proprio sopra la strega dell’est, uccidendola all’istante. La morte della
strega cattiva (banche e capitale che voltano le spalle ai bisogni delle
persone) libera i Munchkins (la piccola gente) e conferisce a Dorothy il
possesso delle scarpe d’argento. Tuttavia Dorothy, i Munchkins e la strega
buona del Nord ne ignorano il potere. Se solo sapesse di cosa sono capaci, la
bambina potrebbe tornare in Kansas con uno schiocco di dita – ed ecco farsi
avanti un’altra grande metafora, quella della via breve che di solito si nega
al viaggiatore (ecco Dante che si smarrisce nella selva ed è ostacolato dalle
tre fiere) innescando la lunga avventura che gli schiude la conoscenza. Va così
nella fabula antica, dal corpus delle milesie a Luciano di Samosata ad Apuleio
– si pensi all’emblematica novella di Eros e Psiche – fino agli intrecci
moderni, per restare entro i confini della narrativa d’infanzia, con Pinocchio
o La fabbrica di cioccolato. E in effetti Baum nella sua prefazione si
definisce un modernizzatore di fiabe, esercizio necessario, dice, per
traghettare un patrimonio di tradizioni e significati verso una nuova capacità
di comunicarsi ai propri ascoltatori.
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(Di
Claudia Ciardi)
Oz di Victor Fleming
Ritorno a Oz di Walter Murch
Ritorno a Oz di Walter Murch II