Per
chi già conosce la lingua tedesca, per chi ha voglia di migliorare la sua
conoscenza ma anche per quelli che desiderano imparare. I libri d’arte sono del
resto un ottimo strumento di didattica, davvero intuitivo e coinvolgente.
Frauke
Berchtig firma una monografia sulla colonia di Worpswede molto chiara e scrupolosa,
offrendo al contempo una panoramica dettagliata sulle opere più significative prodotte
dai pittori della colonia. Ad arricchire il volume una serie di fotografie rare
sull’abitato, i momenti d’incontro fra gli artisti, minute apparizioni della
loro vita privata. Un insieme per certi versi inedito che ci fa sentire vicina
quella comunità e l’idea fondante che ne ispirò i suoi membri.
Ecco
ciò che scrisse il poeta Rainer Maria Rilke, ospite a Worpswede alla fine di
agosto del 1900 insieme a Carl Hauptmann, fratello del celebre drammaturgo Gerhart:
«Queste capanne sono ampiamente sparse sui lunghi argini rettilinei; sono rosse
con tetti a graticcio verdi o blu, ammassate con alti e pesanti tetti di paglia
e come se fossero schiacciate sulla terra dal loro carico massiccio e arruffato.
Alcune si scorgono appena dai terrapieni; hanno gli alberi davanti al viso per
proteggersi dai venti perpetui. Le loro finestre lampeggiano attraverso il
fitto fogliame come occhi gelosi che sbirciano da una maschera scura». (Traduzione
di Claudia Ciardi).
Un
paesaggio rurale abitato da gente povera dove domina il potere sfrenato della
natura (unbändige Naturkraft). Qui si ritirò un gruppo di giovani pittori,
formati nelle accademie tradizionali e tuttavia desiderosi di prenderne le
distanze, ma non intenzionati a creare un gruppo fisso e neppure una scuola (fort
mit den Akademien, nieder mit den Lehrern / via le accademie, abbasso gli
insegnanti). Perché la prima educatrice avrebbe dovuto tornare ad essere la
natura. Peraltro la volontà di liberarsi da zavorre e sovrastrutture culturali fa
parte degli eterni ritorni dell’Ottocento, da Barbizon in poi. Qui c’è anche
molto di Pont-Aven, dei Nabis e dei quasi coevi Elfer (Gli Undici, nati nel
1892), precursori della Secessione di Berlino (1898). Così scrivevo nella
postfazione del mio volumetto su Paula Moderson-Becker, Dentro la vita,
Via del Vento edizioni, 2018: «Il progetto tedesco incline a un paesaggismo
dalle suggestioni simboliste, derivato da Walter Leistikow e Lovis Corinth e
filtrato dalle Secessioni, intende recuperare un rapporto armonico tra uomo e
natura».
Dall’esilio
di Barbizon è ormai passato mezzo secolo e il processo industriale ha consumato
molte delle lacerazioni che allora erano solo agli inizi. In una lettura attenta
e che si sforzi di rendere ragione alla comunità worpswediana questo dato
storico non può essere ignorato. L’isolamento in una località avulsa dai ritmi urbani e ancora completamente intrisa dalle consuetudini di campagna, non rappresentava
una semplice ricerca di tranquillità ma un’esigenza spirituale profonda che l’esercizio
della pittura aveva il compito di assolvere.
«L’artista
deve essere libero, senza libertà non può prosperare». Questa frase di Otto
Modersohn è molto più di un appello, e oggi suona come un monito. L’evocativo verbo
tedesco “gedeihen” (crescere bene, procedere) si pone qui come un sigillo alle
condizioni necessarie per far affluire la creatività.
Nelle
pagine della Berchtig la storia di questo sogno e delle sue delicate tracce, su
cui ancora molto c’è da esplorare, riprende vita attraverso i volti
di Fritz Overbeck, il cosiddetto pittore delle nuvole, accomunato nella sorte a
Paula Modersohn-Becker per la brevità della sua esistenza, e di Heinrich
Vogeler, il sognatore radicale nato in una famiglia della buona borghesia
tedesca che finì i suoi giorni in Unione Sovietica, paese scelto dopo la prima
guerra mondiale per partecipare attivamente alla costruzione del socialismo. E
ancora, vi incontriamo la costanza che non conobbe ripensamenti di Fritz Mackensen, ecista
alla maniera degli antichi, il fondatore della colonia che rimase sempre fedele
al luogo per tutta la vita. Nel 1884 lo scoprì durante una prima visita e non
lo lasciò fino alla sua morte nel 1953. Come anche nella devozione di Hans am
Ende, l’altro worpswediano della prima ora (Urworpsweder), che espresse il suo
attaccamento verso la comunità promuovendo anche iniziative per la
conservazione del villaggio, perfino nelle sue architetture, attraverso la “Società
di abbellimento di Worpswede” (Verschöne-rungsverein Worpswede). Ferito
gravemente in guerra nel 1918, morì in un lazzeretto militare a Stettino.
Infine,
ci si manifesta in tutta la sua intensità nel legame fra Otto Modersohn, il talento taciturno
e riservato, e Paula, un genio fra i talenti.
«In
der Kunst geht es wie in der Liebe. Je mehr man sich gibt, desto mehr man
empfängt».
«Nell’arte
va come nell’amore. Più si dà, più si riceve», Paula Modersohn-Becker (Dresda,
8 febbraio 1876 – Worpswede, 20 novembre 1907).
E
se adesso sento in me un’onda caparbia di dolcezza, se con dolcezza poso lo
sguardo sulle cose e mi sollevo sopra l’insensibile cozzare del tempo, che
passa in mezzo a noi così affilato e immemore, è anche per questo soffio
gentile che mi viene dall’arte, dalla vita di una giovane donna determinata.
Buon compleanno, PMB!
(Di Claudia Ciardi)
Paula e Otto Modersohn a Worpswede
Libro:
Frauke Berchtig, Künstlerkolonie
Worpswede, Braus, Berlin, 2018
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