Mi sembrava necessario per questo mese concentrare la discussione sul dissesto idrogeologico. I ‘bollettini di guerra’ venuti da Genova ma anche da molte altre parti d’Italia hanno riacceso tanti interrogativi. Purtroppo ho dovuto constatare, nel corso dei miei scambi con quanti sono stati colpiti dal disastro e con attivisti, che c’era molta stanchezza e poca voglia di mettere su carta qualche considerazione. Se fossi un amministratore del territorio, questo sentimento diffuso in maniera così capillare, mi susciterebbe non poche preoccupazioni. Siamo inequivocabilmente davanti a un distacco dettato prima di tutto dalle difficoltà materiali in cui migliaia di persone si sono trovate, dalla rabbia per aver denunciato in tempi recenti le criticità (il caso di Carrara mi pare emblematico) senza ricevere risposte adeguate, e infine anche dall’idea che “ormai è tutto inutile”, il che ha comportato e comporta l’isolamento di migliaia di cittadini i quali non riescono più a pensare se stessi come parte attiva di un contesto.
L’esito dell’ultima tornata elettorale fa spavento. A giudicare dal clima che, seppure su scala minore, ho percepito nelle settimane precedenti, per cui chi ancora ha qualcosa a cui attaccarsi va avanti a testa bassa e senza far motto, e chi non ha più nulla ha perso anche la voce, il crollo non poteva non attendersi. Un astensionismo così alto è uno schiaffo in pieno viso alla politica di qualunque colore. E il premier, secondo me, è caduto in un errore marchiano, commentando i risultati. Minimizzare i dati sull’astensione può sembrare un modo risoluto attraverso cui prendere di petto l’onda del dissenso, che per questa via si è espresso. Ma in una compagine sociale già estremamente sfilacciata a causa del protrarsi della crisi e dei problemi ulteriori che la crisi accompagnano, il rischio concreto è di esserne travolti. Il dissesto del territorio non è tema secondario. Oltre all’impatto materiale sulla vita delle persone, ne ha un altro assai più profondo in chi non ne è colpito direttamente, a livello psicologico. L’impressione di vivere in una “casa” che crolla e verrà spazzata via, suscita paura, disorientamento, ma anche il bisogno di essere ascoltati da chi opera nelle amministrazioni centrali e locali. Se non si creano mai le condizioni di un incontro, se non si gettano le basi per un disegno di risanamento vero – la proposta toscana a “volumi zero” che blocca la deriva cementizia è un primo passo – se, insomma, ci si veste di decisionismo, lo si mangia a colazione, pranzo e cena, però poi non si versa carburante negli annunci, la disaffezione della cittadinanza andrà sicuramente messa in conto.
In un dettagliato resoconto del 15 ottobre 2014 scritto da Sergio Rizzo per il «Corriere della Sera» si legge che lo scolmatore sul Bisagno a Genova è «appeso a un bando folle», un’espressione che rende bene le lungaggini burocratiche sull’opera di messa in sicurezza. L’articolo si sofferma quindi sulla previsione di durata dei lavori: 1846 giorni (cinque anni e un mese) per un costo di 40 milioni di euro. Ciò dà la misura di quanto tempo prezioso sia andato finora sprecato. Ma anche della rilevanza dell’investimento che, messo in rapporto con i danni prodotti dall’alluvione del 9 ottobre (l’ultima stima è di 60 milioni di euro per famiglie e imprese) dà un sapore ancora più amaro all’intera vicenda. In situazioni d’emergenza i ritardi creano una voragine economica da cui è difficile venir fuori, specialmente in una fase così stentata per il nostro ciclo produttivo.
Nel caso genovese il progetto, dunque, c’è da tempo ma la volontà di praticarlo è di là da venire. L’acqua non si ferma e non si fermerà. Ce lo ha dimostrato anche negli ultimi due mesi. La natura non è né buona né cattiva, né giusta né sbagliata, come già un paio di secoli fa ci ricordava il nostro bistrattato Leopardi. Semplicemente si riprende lo spazio che le appartiene, dicendoci che l’incuria non paga mai.
Ospitiamo un breve intervento del professor Paolo Arduini, insegnante presso il dipartimento di latino di lingue dell’Università di Pisa, da anni impegnato nella difesa dei diritti del cittadino (rappresentanza, casa, lavoro) e sui temi di tutela ambientale contro l’abuso edilizio, i condoni facili, la cementificazione selvaggia. Con la generosità che lo caratterizza, messa a servizio dell’avventura redazionale «Luci sulla Città», e portata in diverse battaglie che hanno coinvolto anche personaggi importanti dell’attivismo culturale italiano, come Don Ciotti di «Libera», Milena Gabanelli, Marco Travaglio, ha risolto alcuni dei quesiti da me formulati in relazione ai recenti problemi.
Le sue parole sono, come sempre, buoni spunti di riflessione, nell’auspicio che altri abbiano voglia di ripartire da qui e levare una voce di protesta costruttiva. Il silenzio, infatti, non aiuta a sensibilizzare chi ancora non comprende la gravità del vivere in un territorio pesantemente inquinato e offeso.
La tutela del territorio passa necessariamente per la consapevolezza dei cittadini. La comprensione dei problemi è il primo elemento su cui edificare una comunità solida, che sia in grado di mettere a punto strategie efficaci per risolvere le proprie criticità.
Dovendo giudicare il grado di coscienza e impegno civile su questi temi in Italia, cosa minaccia principalmente lo sviluppo di tali aspetti e quali, invece, le conquiste che sono state fatte grazie al lavoro capillare e paziente di comitati e associazioni?
La coscienza non c'è o è sminuzzata in mille risposte particolari. Solo il movimento No TAV in Val di Susa ha costruito una "coscienza di luogo" (che è quello che vorremmo costruire qui a Calci, dove vivo ora), ma lo stanno massacrando militarmente, perché la coscienza di luogo richiede un'azione di attacco e difesa ma le forze sono impari.
Non appena è iniziato l’autunno abbiamo vissuto un vero e proprio stato di calamità a causa del continuo susseguirsi delle alluvioni. La Liguria, il basso Piemonte, Parma, Carrara, la provincia di Roma. Ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo. In un territorio a fortissimo rischio idrogeologico, tutela e prevenzione si sono rese latitanti per troppi anni. Quali considerazioni?
Banale, ma va ribadito: al primo posto ci sono le Grandi Opere inutili e costose, dove ci sono forti guadagni, legali e illegali poco importa, mentre la manutenzione e programmazione del territorio nessuno la farà mai, in un sistema fondato sul Dio Denaro.
La cementificazione è certamente uno dei tanti mali italiani. Il settore dell’edilizia che, fino a poco prima della recessione, figurava come uno dei volani economici della penisola, nasconde in realtà moltissime ombre e più di una responsabilità nell’attuale sfacelo del territorio. Che tipo di politiche bisognerebbe avere il coraggio di organizzare da subito?
Rendere effettiva la chiacchiera sul recupero e sulla valorizzazione del patrimonio edilizio esistente; abbattere tutto il resto, offrendo alternative semplici e concrete a chi ci è rimasto "infognato".
I danni portati dal dissesto idrogeologico sono, sul piano economico, ingentissimi. Un esempio: 40 milioni di euro il costo dello scolmatore sul Bisagno a fronte di 60 milioni di danni stimati nell’alluvione del 9 ottobre. Si continuano a sostenere opere faraoniche quali la Gronda, per rimanere in territorio genovese, e la Tav. Perché, neppure a fronte dell’enorme difficoltà economica in cui ormai si dibatte il paese, e delle caratteristiche palesemente controproducenti di questi progetti, la classe dirigente non fa marcia indietro una volta per tutte?
Non possono fare marcia indietro, per il motivo appena detto, e in questo sono un sistema unico di affari e dominio, senza colore.
Nel corso delle emergenze la macchina degli aiuti si muove con grande lentezza e inadeguatezza. Non si ha il coraggio di ammettere che non siamo preparati ad affrontare disagi di tali proporzioni. Cosa non va nell’attuale gestione delle crisi?
Gli aiuti servono a "tappare i buchi" e ottenere voti, non a dare un corso diverso alle opere e alla vita delle persone, per cui saranno sempre in ritardo e atti solo ad alzare il PIL (vedi gli euri ora richiesti da Renzi all'UE per il riassetto idrogeologico, *il riferimento è al controverso piano Juncker di cui finora non sono stati chiariti né termini né risorse).
(Intervista di Claudia Ciardi)