La storia del simbolismo nell’arte all’interno
dei paesi di cultura tedesca – Germania e impero asburgico – è un tema vasto che implica l’analisi dei contatti tra Francia e Mitteleuropa durante
almeno gli ultimi tre decenni del XIX secolo. Da una parte la pittura francese aveva
avviato un ripensamento dell’impressionismo attraverso un lungo processo di
mediazione e superamento che dalla scuola di Barbizon, passando per Pont-Aven e
la personalità di Paul Gauguin arriva ai Nabis, dove a imporsi sono soprattutto
le lezioni del decano Sérusier e del poco più giovane Maurice Denis, dall’altra nei
territori tedeschi si assiste a una conquista in parallelo delle nuove istanze
simboliste, filtrate dal sintetismo Jugendstil e dalle Secessioni di Monaco
(1892), Vienna (1897) e Berlino (1898). Intreccio di caratteri e influssi che se ci si
sposta nelle periferie dell’impero appare ancora più complesso, a tratti addirittura indecifrabile. Se infatti il centro per eccellenza deputato al
soggiorno artistico era indiscutibilmente Parigi, e ciò fino agli anni ’70-’80 dell’Ottocento,
sotto il crescente martellare delle avanguardie sono molti i giovani che dalle
province imperiali scelgono di stabilirsi per un periodo più o meno esteso nel tempo
a Vienna, Monaco, Berlino o anche Milano. In tal senso si possono dire accantonati pure gli attriti politici e le diverse appartenenze culturali di trentini e
non solo; a riprova dell’arte quale bacino di condivisione e immaginifica “comune” volta al superamento delle diversità. Del resto, affinché la frontiera assolva il compito
di cinghia di trasmissione di culture e saperi, dev’esser chiara a chi
l’attraversa la sua essenza, la sua spazialità incisa nei luoghi e ancor più nell’idea
che quei confini possano divenire passaggio, ma solo in virtù della loro certa definizione
come tracciati fra aree dai differenti connotati.
Al bivio del simbolismo internazionale di
matrice tedesca, o più ampiamente nordica, che va da Böcklin a Klinger, da
Munch a Hodler e Kubin, incrociando la corrente paesaggista di Corinth e
Leistikow, che arriva a lambire la colonia di Worpswede, con una netta
predilezione per le scene autunnali e i tramonti intrisi di una Stimmung
malinconica e assorta, si colloca buona parte della pittura frontaliera
trentina e altoatesina di fine secolo. In quello stato di “torbida latenza”,
per citare i curatori di una recente rassegna pittorica su questi temi, che di
lì a poco avrebbe svelato tutti gli inganni della realtà. Con l’aggiunta di un
nume solitario e ingovernabile, Giovanni Segantini. Fabbro di un linguaggio che
non si lascia assimilare ad alcuna corrente, interprete di un simbolismo
panteista sui generis, ha affascinato molti tra i pittori italiani e stranieri
coevi. Restando alla porzione geografica qui esplorata, possiamo senz’altro dire che il tirolese Alfons Siber (1860-1919) sia uno dei più assidui nel cogliere
e rafforzare la sua ricerca.
Punto nodale d’interlocuzione fra tutti
gli artisti operanti in questa parte d’Europa nel medesimo scorcio storico, è
il bisogno di esprimere la ritrovata armonia fra uomo e natura. I laghi, gli
stagni, i boschi, i pascoli alpini sono i luoghi dell’idillio, ambienti
risparmiati dal tempo dove tanti pittori scelgono peraltro di trasferirsi per
sfuggire ai condizionamenti sociali e civili delle metropoli. Ecco cosa
annotava Artur Nikodem quando si metteva al lavoro: «ora in piena estate le
betulle… se si incide un quadrato nella corteccia con un coltello appuntito, si
ha la pelle bianca, sotto la quale fa mostra di sé uno splendido verde, da cui goccia
il dolce succo». Da qui passa anche una sensibilità nuova per la quale il
colore diventa esso stesso soggetto, marca simbolica di cui viene eclissata la
funzione descrittiva a favore delle sue qualità evocatrici. La propensione
allusiva dell’arte del secondo Ottocento, rivelatrice di nervature magiche e
mistiche con cui disegnare l’invisibile che è nel mondo, la contiguità sempre
più necessaria con l’universo simbolico, si diffondono dalla Francia verso est come risposta al
naturalismo d’origine impressionista, convogliando
queste istanze in una corrente creativa che va ben oltre le discipline
figurative. Si tratta di un cosmo variegato e per alcuni aspetti sfuggente,
nella misura in cui sperimenta, mischia, gioca, e in apparenza rinnega, salvo
poi recuperare entro di sé alcuni di quegli stessi motivi formalmente discussi.
Seguirne esiti e mutazioni significa approdare alle soglie dell’espressionismo
e fino all’astrattismo e alla metafisica degli anni Venti del Novecento. Un
arcipelago in buona parte ancora sommerso, dove sono custoditi i sogni di quasi
tutte le successive avanguardie.
(Di Claudia Ciardi)
Catalogo consultato:
Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell’impero asburgico.
Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell’impero asburgico.
Auf den Spuren von Maurice Denis. Symbolismus an den Grenzen des Habsburger Reichs.
Skira, 2007
Alexander Koester, Canneto al tramonto vicino Bressanone, 1895
Alexander Koester, I salici dorati, 1900
Alfons Siber, Risveglio di primavera, 1900
Max von Esterle, Giornata invernale di sole in Tirolo, 1911
Alfons Walde, Impressione di primavera, 1911
Alfons Walde, Impressione serale, 1911
Artur Nikodem, Sentiero nello Stubaita, 1919-1920
Max Klinger, L'ora blu, 1890
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