Qualche
giorno fa mi è tornato tra le mani un diario che compilai nel novembre 2008,
poche settimane dopo l’inizio della grande tempesta finanziaria che segnò
quell’anno e le politiche dei molti a venire. Fu l’ultimo scritto a carattere
sociale che destinai alla rivista universitaria, l’ultimo che accese la
discussione coi miei compagni. Da allora non ho più fatto la prova di rileggere
quei pezzi, con l’eccezione appunto di questo “Italian dream”. Il titolo
richiama il cosiddetto “sogno americano” che dalla seconda guerra mondiale
ha cullato l’occidente, per certi versi cullandolo ancora. Stride ovviamente
con i tanti disastri cui l’utopia si è accompagnata, non ultimo il divario
sociale che il diffondersi delle nuove tecnologie avrebbe avuto il compito di
risolvere, salvo poi ridestarci nel bel mezzo del ciclone.
Come
sempre accade mentre si vive un evento, è difficile valutarne pienamente la
portata e le ricadute. In queste settimane abbiamo fatto esperienza del
concetto di distanziamento. Abbiamo attuato una separatezza fisica tra noi e
gli altri perché il contagio corresse meno velocemente. Una simile disposizione
può giovare talvolta anche nel discernere i fatti. L’attesa si scopre spesso
molto più proficua della riflessione a caldo. Mi son sempre chiesta come fosse
possibile scrivere nell’immediatezza di un avvenimento; intendo una narrazione, una
poesia. Son cose queste che necessitano di profondità e per andare in
profondità, per scendere dalla superficie, occorre prendere le distanze.
Del
2008 si intuiva che sarebbe stato un anno di svolta, in senso peggiorativo. Tuttavia
da questo peggio avremmo potuto trarre una lezione, cogliere un’opportunità
per consolidarci in un assetto diverso che nel presente si sarebbe rivelato
d’importanza strategica. Di certo fu un
anno che impattò negativamente e con sinistra accelerazione dopo il quinquennio
e più di ricadute seguito all’ingresso nell’euro. E qui non si vuol fare una
riflessione pro o contro la moneta unica, ma semplicemente constatare che quella scelta
comportò una pesante erosione del potere d’acquisto e delle capacità di
risparmio di una parte molto estesa dei nostri connazionali (si vedano i
rapporti Cies sull’esclusione sociale dall’inizio del nuovo millennio). Quando
il crollo del 2008 ci investì, le strutture erano già fragili e non si misero
in campo provvedimenti adeguati, non si formularono piani coraggiosi di
rilancio accompagnati da ammortizzatori sociali e strumenti di previdenza veramente inclusivi. Si preferì
adattare le cornici dei bilanci, rimanere invischiati nella rigidità dei
parametri, fare quello che si presumeva apparentemente gradito ai mercati –
senza che peraltro vi fossero reali stabilizzazioni e ricadute positive neppure per quelli.
Oggi che viviamo un’emergenza inaspettata scontiamo l’assenza di tutele che allora andavano incardinate e i
plateali errori di quel recente passato.
Il
presidente dell’associazione dei comuni italiani, dunque un portavoce dei
territori, ha dichiarato che oggi, il reddito di cittadinanza, in una situazione che ci sta facendo sfiorare il
dissesto, si è rivelato l’unica misura che ha permesso di arginare i risvolti estremi del conflitto sociale. Ad ora il
reddito di cittadinanza è la sola forma di accredito diretto di denaro che
offra qualche garanzia agli strati privi di protezione, espulsi dal mercato
del lavoro, parcheggiati in un incubo perpetuo di inedia e impossibilità di far valere i propri diritti. Adesso si è costretti a parlare di
reddito di emergenza: allora perché, mesi fa, si continuavano a portare
attacchi imbarazzanti contro tale misura che sta offrendo l’esempio per le
politiche attualmente in discussione di sostegno al reddito? Perché ancora oggi, qualcuno, con
scarsa lungimiranza e mostrando di non capire il quadro di crisi globale che va
configurandosi, insiste col dire che si tratta di un provvedimento inutile, se
non deleterio? Se questo strumento non fosse stato così osteggiato, già mesi fa si sarebbero
potute stanziare risorse maggiori e arrivare meno impreparati
all’oggi. Si poteva ampliare la platea dei beneficiari, perché molte attività e
tanti liberi professionisti scontavano da lungo tempo situazioni ai limiti
della sopravvivenza. Gettando lo sguardo oltre l’epidemia, la crisi del fattore lavoro è un
elemento che non si può più fingere di ignorare: precarizzazione, caduta dei salari, automazione che sostituisce la figura del lavoratore, anche
specializzato. L’epidemia sta solo accentuando un processo già in atto, è una
sorta di “cigno nero” che incontra quello che aveva scosso le economie mondiali
nel 2008. L’ortodossia liberista, al di là delle implicazioni sociali che disapprovo, non è più funzionale.
Produce sacrifici che non portano da nessuna parte e non consente di riavviare
il motore. È un tempo nuovo, occorre una mentalità nuova per
interpretarlo.
(Di
Claudia Ciardi)
*
Ripropongo la versione quasi integrale del 2008. La rilettura ha comportato
qualche minimo intervento sul testo, alcune correzioni sulla punteggiatura,
l’adattamento dell’introduzione, qui più sintetica rispetto all’originale.
Italian dream
(prego non svegliateci)
Questo breve elenco di sensazioni ed
eventi è vicino ai due diari da me compilati sul marzo francese e la
rivoluzione d’Ungheria, senza tuttavia continuare a svolgere i temi e le
motivazioni che hanno portato alla scrittura di quei progetti. Non solo infatti
è passato diverso tempo dai due precedenti lavori (entrambi si riferivano a
fatti accaduti nel 2006) ma ciò che ancor più mi separa da essi è una sorta di
rassegnata inquietudine, se l’aporia di questa espressione può essere accolta,
che sembra approdare a un disincanto dalle ricadute nettamente fisiche e che mi
impedisce di raccogliere qualsiasi energia per commentare.
In questo che non saprei definire né
diario, né cronaca, né pamphlet, ho lasciato incontrare nel modo più semplice e
asciutto possibile le date, i fatti, le impressioni personali.
Ai sogni non ancora saccheggiati
22 ottobre
Cagliari. Alluvione. L’acqua e la terra scese dai
monti investono le case costruite davanti al fiume. Da qualche parte dovevano
defluire. Dispersi.
23 ottobre
Monitoraggio ambientale in ritardo. Visita di rito della protezione civile. Ci si sbriga tra sopralluoghi e bollettini. Poi via tutti. La gente resta in casa a spalare il fango e a prendersela col mutuo trentennale da pagare.
Pisa: in ventimila. Si
manifesta contro l’assalto alla scuola pubblica. Le ombre della crisi
finanziaria fanno ressa quanto la gente per strada.
24 ottobre
Borse giù. Una caduta
libera che dura da troppe settimane. I mercati bruciano, le cifre spargono
ipoteche sulle vite di tutti ogni giorno che passa.
25 ottobre
Sabato sera. Al solito.
Tutto inutilmente tranquillo. Fa quasi rabbia questo anestetico ordinato a
larghe dosi dal Comitato di Salute Pubblica. In televisione gli fa da pendant
la parodia del Ministro della Paura. Anche la satira diventa ripetitiva e
doppia il senso di vuoto.
26 ottobre
In città, piazza
centrale. Tra proteste e aperitivi. I graziati al bar e i tampinati seduti in
cerchio a sputare rabbia negli altoparlanti. Ma forse anche qui più apparenza
che diversità. Bisogno di sentire la
vita in un corpo. La sua casa, lontana da questo. Fuggo, credo. Facciamo
l’amore. Discutiamo, proviamo a immaginare una serenità che si ostina a
scappare, anche lei. Tutto ha l’aria di essere così poco serio, terribilmente
serio.
27 ottobre
La borsa in perdita,
ancora. Si pensa a salvare altre banche. Inflazione a portata di mano. Forse ne
faranno qualche gadget. Coro affannato di numeri che segnano la regressione,
pesante. Stavolta è una disfatta ma chiamarla così per qualcuno è vilipendio.
Colpi di coda. Il
gigante imperialista continua a contorcersi. Si diffonde oggi la notizia del
raid di ieri degli Stati Uniti contro la Siria. Nove morti, fiancheggiatori di
Al Quaeda si dice. Guerra preventiva?
Sparatoria in un ateneo
dell’Arkansas: due morti. Il ballo delle armi chiede coerenza al sogno americano.
28 ottobre
Si decide
l’integrazione ambientale dell’Ilva di Taranto. Insorgono le associazioni e gli
esperti che hanno valutato l’impatto del polo industriale sul territorio. Nei
bambini tumori inspiegabili. Taranto città più inquinata d’Europa.
29 ottobre
Massa. Eaton, industria
siderurgica sotto il vessillo americano. Il crollo dei mercati si porta dietro
il crollo del lavoro. Licenziamenti. La società venduta al taglio.
Il decreto Gelmini è
legge. Previsioni di gettito fiscale ridotto, sull’onda della riduzione dei
redditi. Tagli.
Si protesta. Volo di
spranghe a piazza Navona. Antagonismi di destra e di sinistra, ideologie
ricucite per buttare sul palco vecchie provocazioni che ancora possono far
comodo.
La polizia carica i
dimostranti a Milano. Ma il premier assicura di non voler pestaggi nei cortei. Aria
di lotta tra poveri costruita a tavolino. Meglio, lotta per la sopravvivenza.
Ecco quando l’essere umano dà il meglio di sé.
30 ottobre
Per scrivere la tesi ho
impiegato un tempo esorbitante. Il caos della mia testa e i casini della mia
famiglia. Un bel condimento come al solito. Ora son cinque mesi che l’ho
consegnata. Ma non frega a nessuno. Non pensavo si dovesse chiedere anche di
leggerla. All’università non si dice mai dello spreco riguardante il tempo
degli studenti, che passa per cosa dovuta. Invece è la prima inciviltà che si
tira dietro tutte le altre. Continuano a parlarmi di libri da citare, autori da
inserire, altrimenti il mio lavoro non ha sufficiente dignità accademica. Mi
sento stupida.
Roma. Sciopero
nazionale della scuola. Manifestazioni in giro per l’Italia. Milano, Bologna,
scontri, due cortei a Palermo. Dall’alto si paventano arresti e fermi, solito
tono velato. Senza parere, la galera è dietro l’angolo. Carcerazione
preventiva, come la guerra, come il pensiero.
Calca davanti al
magazzino hi-tech, periferia di Roma. Feriti e contusi. Ferocia commerciale
suburbana. Almeno qualcuno pensa a razziare le offerte dei supermercati invece
che a cambiare il mondo. La TV è generosa d’immagini a sommo scopo. L’isterismo
fa buon latte.
31 ottobre
Mattina. Caffè
letterario. Si discute dei Cantos. Un’isola di umanità troppo piccola, la forma
di una bellezza troppo fragile, adesso.
Da giorni sanguina
l’est del Congo. Li chiamano conflitti etnici. Calcolati, poi imprevisti quando si tratta di fermarli. Il
nuovo hotel Ruanda ha aperto i battenti.
McCain Obama. Il bianco
e il nero. Manicheismo in scena, anche questo copione sembra scontato. E mesi
che se ne parla……
1 novembre
Congo. Soldati
governativi sparano a freddo sulla gente. I ribelli bruciano un accampamento di
profughi. Bambini schiacciati nella calca mentre chiedono cibo. Dacci oggi il
nostro pane. Il grido di un continente.
Polemiche con la Germania sulle stragi nazifasciste. Strumentalizzazioni sui risarcimenti, proprio in mezzo alla crisi. Infinita vergogna per chi è morto. Non era proprio il caso.
Polemiche con la Germania sulle stragi nazifasciste. Strumentalizzazioni sui risarcimenti, proprio in mezzo alla crisi. Infinita vergogna per chi è morto. Non era proprio il caso.
2 novembre
Domenica sera. Falso
Clamore. Al solito. Dura meno di un attimo, poi silenzio. Resa incondizionata.
Ormai è facile, so come si fa.
Scorrono le immagini
della Formula uno. Modelle ai box coccolano settantenni in livrea da milioni di
euro. Shock di cilindrata.
3 novembre
Il lunedì si comincia
sempre dal conto delle perdite. Il Ministero dell’economia informa. Nei primi
dieci mesi dell’anno il settore statale fa registrare un fabbisogno di circa
52,5 miliardi di euro. È un aumento, si dice, di circa 14,5 miliardi rispetto
allo stesso periodo del 2007.
Crisi Alitalia. Ci
perseguita da settembre, anzi da prima. Pur con tutti i soldi pubblici che son
finiti lì per far volare la bandiera, l’accordo è sempre in bilico. Si cerca
ancora di raschiare il barile. Il tavolo dei debiti è tutto nostro.
C’è una donna che ha
ereditato dal padre un mestiere bellissimo, salvare le piante. Sono alberi da
frutto che nei secoli hanno sfamato tanta gente. Ma il mercato oggi li ha
dimenticati. Bisogno di velocità, e in questo viene meno l’attenzione per le
cose preziose e che vivono con maggiore lentezza. Naturalmente nessuno la
finanzia. Così anche per le persone.
4 novembre
Anche le luci della
sala computer hanno cominciato a stancarmi. Così, in biblioteca, alle
spalle ho il solito ricercatore scosso dalla sua tosse isterica. Mi tornano in
mente le mattine al liceo, l’arrivo in classe, odore di panni lavati, voce
ancora assonnata, gesti impacciati di un’adolescenza tra mura malate.
Fastidio e brividi.
Election day. Il mondo
aspetta. No, il mondo aspetta?
Dietro i vetri. Vento
che scuote le case. Ma l’indifferenza è più forte.
5 novembre
Piove, i Senegalesi
vendono ombrelli per strada. La bacheca davanti alle scale del dipartimento
puzza d’umido e monotonia. Su pochi fogli imbarazzati gli accenni a una
protesta che cerca di non soffocare. Accanto la lunga lista di saggi compilata
da un giovane laureato in storia americana, impaziente di rivendere. Un altro
cede il suo stipetto dei libri, con tutti i libri, per duecento euro.
Rateizzazione del disincanto.
Si parla di campagna
elettorale epica per le presidenziali statunitensi. Ma sembra più che altro che
si elegga una reginetta del cinema o la nuova miss da calendario. A guardar
bene le mitologie sono s-cadute dalle
ginocchia delle società. Abbiamo ancora soltanto qualche simbolo che pare
incepparsi di continuo. La crescita della percentuale di votanti è forse timore
del fallimento della democrazia; ma il timore resta senza rappresentanza.
Si fa ressa sull’orlo
della crisi.
Congo, centomila
profughi. La versione ufficiale: è colpa degli Africani che geneticamente non sanno
organizzarsi. Non si sono dati da fare in tempo e questo ci autorizza a
depredarli.
Intanto vince l’uomo
della speranza. Si mette a dormire la favola della libertà si comincia la nuova
hope tale. Raccontata da uno di loro o uno di noi?
La forma di molte sere
quaggiù, ombre masticate tra il ponte e il fiume, sentore d’esilio ma in mezzo
agli altri, senza attraversare.
Exile’s song
And before the end of the day we were scattered like stars,
or rain.
I had to be off to So, far away over the waters,
you back to your river-bridge. (Ezra Pound)
(Di Claudia Ciardi,
novembre 2008)
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