Organismi
ingegnosi dalle sorprendenti doti creative, in grado di sviluppare sistemi
all’avanguardia per la loro conservazione e diffusione, vere e proprie creature
pensanti, le piante sono gli esseri che più differiscono da noi ma dalle quali
molti esempi potremmo trarre per dare finalmente spazio a modelli alternativi
nella nostra società.
Un giorno un amico dopo avermi mostrato le figure del qi gong – una specie di danza in cui il respiro si armonizza completamente coi movimenti del corpo finché la propria energia interna e quella esterna fluiscono insieme – mi raccontò di aver avuto un’esperienza molto intensa. Una mattina presto, disponendosi a quel lungo esercizio di respirazione davanti alle montagne sentì di non appartenere più allo spazio in cui si trovava. Nel silenzio, man mano che completava i movimenti, aveva la percezione di essere trascinato via. Se si raggiunge un elevato grado di concentrazione, mi disse, si riesce a sentire cosa sta accadendo nel bosco in quel preciso momento. Questo racconto mi toccò subito moltissimo e non ne ho mai dubitato. Certo, immersi come siamo adesso in un’atmosfera tanto straniante che calpesta con spietato cinismo ogni pur minima concessione a un’idea di trascendenza, suona come qualcosa di inconcepibile. Tale episodio mi trasmise con straordinaria chiarezza quanto tutti i viventi siano legati in profondità. E vi ho riscontrato pure non poche assonanze con il ricordo di un evento culturale degli anni ’70, quando il libro La vita segreta delle piante di Peter Tompkins e Christopher Bird (edito in Italia da Il Saggiatore nel 2009) entrò nella classifica dei saggi più venduti stilata dal New Yorker. Il volume sosteneva l’idea che le piante fossero esseri senzienti, fini ascoltatrici di musica classica, artiste munite di una spiccata intelligenza tecnica (e torniamo pur sempre alla τέχνη, arte, in greco). Un misto di adattabilità, resistenza, lungimiranza “politica” che permette loro di volgere a proprio vantaggio situazioni complicate. E infine, anche un po’ sensitive. Il libro infatti rimarcava la caratteristica di percepire i pensieri di un essere umano con cui erano venute in contatto o che si era preso cura di loro perfino a centinaia di chilometri di distanza. Questo passaggio soprattutto mi riportava al concetto di unisono che l’esperienza appena descritta aveva con così tanta forza riversato in me. Se il fatto che il libro sia diventato un bestseller nel giro di qualche settimana si spiega come fenomeno di costume ascrivibile al diffondersi delle pratiche new age nella società americana, è pur vero che qualcosa di quell’impianto ha sfidato il tempo superando le aspre critiche degli scienziati di allora. Oltre al merito di aver guadagnato proseliti alla causa della botanica, nell’epoca delle macchine considerata non di rado uno studio da eccentrici, non è esagerato riscontrare nell’esposizione dei due scrittori il seme – quale metafora più appropriata! – di una disciplina che molti anni più tardi si è proposta di studiare le capacità sensibili delle piante, nota col nome di neurobiologia delle piante. Uno dei suoi più illuminati e illuminanti divulgatori è Stefano Mancuso, fisiologo vegetale dell’Università di Firenze, autore di libri capaci di avvicinare e coinvolgere lettori non specialisti, che esorto vivamente a leggere.
In un ipotetico parallelo tra società delle piante e società umana, le piante battono l’uomo stracciando quasi l’avversario. L’essere umano ha infatti la mania di accentrare, di creare organizzazioni verticistiche fino a perire sotto il peso dell’inutilità delle proprie strutture. Ciò vale per il regno animale in genere, con la differenza che l’uomo dà vita a sistemi complessi perché più complessa è la sua intelligenza. Solo che in natura l’intelligenza non è necessariamente un vantaggio. Gli esempi attraverso cui gli uomini in preda a un’ipertrofica volontà di dominare finiscono puntualmente per essere intossicati si sprecano. Un’altra mania tutta umana è quella di ammantarsi di una presunta superiorità di specie in base alla quale si potrebbero modificare gli equilibri di natura a proprio piacimento e senza conseguenze. Anche qui gli esempi di esperimenti finiti male non si contano. Vediamo brevemente cosa è successo quando gli Olandesi decisero che la pianta dei chiodi di garofano era inutile. Arrivati alle Isole Molucche, sua terra d’origine, distrussero tutti gli alberi di Eugenia per far posto ad altre colture e per liberare spazio da destinare ad altre attività. Come s’intuisce dal nome, questi vegetali sono ricchi di eugenolo che si estrae anche dagli oli essenziali di cannella, noce moscata, basilico, alloro e anice stellato giapponese; si tratta di un antibatterico potente, con proprietà antispasmodiche e anestetiche. Una volta eradicate tutte, sulle isole si abbatterono continue epidemie che le resero invivibili. La natura ha fatto capire ai coloni chi comandasse veramente.
Nel suo libro La nazione delle piante Stefano Mancuso descrive moltissime situazioni che mettono a nudo l’inadeguatezza umana. Illuminante il capitolo sulla crescita incontrollata degli apparati burocratici, che continuano a lievitare anche in assenza di reali opportunità di lavoro, fino all’autodistruzione, specchio dell’orizzonte gerarchico entro cui l’uomo si muove. Ecco cosa dice l’autore al riguardo: «Ogni organizzazione gerarchica, infatti, evolve una sua burocrazia, ossia un gruppo di persone la cui funzione è di trasformare in consuetudine il meccanismo di trasmissione dei comandi attraverso i diversi livelli della gerarchia. La trasmissione da un livello all’altro della catena gerarchica, oltre che essere inevitabilmente soggetta ad errori, richiede del tempo, eliminando così la velocità di azione, ossia l’unico vero vantaggio ascrivibile ad una organizzazione centralizzata». (articolo 3, pagina 35)
Il sistema centralistico e verticistico dei modi in cui l’essere umano tende ad amministrare ogni cosa, gli deriva da come amministra se stesso, un derivato biologico si direbbe: il cervello è il nostro organo centrale, è lui il regista di tutto, quello che ci permette di risolvere i problemi ma anche il grande responsabile dei nostri molti dissidi. Le piante invece non hanno nessun organo centrale, i loro sensi hanno uguale potere contrattuale distribuiti come sono su tutto il corpo. Il loro è un modello di società diffusa, in cui i centri di potere sono più di uno, dunque un cosmo policentrico che vive di decisioni collegiali, e se una parte è in pericolo o riporta un danno, ci sarà un doppio – supponiamo un duplicato del cuore, del cervello e della vista – che le permetterà di recuperare l’infortunio.
Anche in questo caso, dopo aver letto il libro di Mancuso e diversi articoli d’intonazione simile, mi è accaduto un episodio davvero bizzarro cui non avrei dato peso senza essermi documentata a queste fonti. La mia amarillys, regalo di un’amica greca innamorata di questa pianta fin dalla gioventù, aveva avuto uno sviluppo velocissimo – cosa questa che mi era stata predetta qualora si fosse ambientata bene. Ero molto felice, significava dunque che le ero piaciuta, ma allo stesso tempo mi preoccupava che potesse soffrire per il peso eccessivo. Purtroppo non pensai a metterle dei sostegni e così una mattina ho trovato uno degli steli dove già si affacciava la prima fioritura, accasciato sullo stendino. Non aiutata da me, aveva provveduto da sola ad atterrare sul morbido. Dalla sua posizione era l’unico punto raggiungibile per non rischiare che lo stelo si spezzasse. Da come è andata, si potrebbe dire che l’amarillys abbia “visto” lo spazio, che abbia percepito cosa ci fosse intorno a lei, calandosi dove potesse stare al sicuro.
Siamo davvero di fronte a creature prodigiose, animate da gusto estetico e uno studio invidiabile della tecnica. Delle perfette menti artistiche rinascimentali. E a proposito di arte… Da tempo ci si interrogava su come, finite le glaciazioni, le foreste si fossero rapidamente diffuse in ogni parte del mondo, isole comprese. Fu un’istallazione a Central Park di Christo e della moglie Jeanne-Claude, i maggiori rappresentanti della Land Art, a ispirare la teoria di Henry Horn, biologo di Princeton. Nel lunghissimo porticato costituito da 7500 passaggi – una perfetta galleria del vento – lo studioso si accorse che alcuni semi alati erano in grado letteralmente di intercettare le correnti d’aria coprendo distanze all’apparenza inimmaginabili. Si trattava soprattutto di quelli dell’acero e del frassino, architetture eccezionali, veri oggetti di design, sbalorditivi congegni leonardeschi.
In conclusione, avvicinare la vita delle piante significa confrontarsi con tantissimi aspetti del nostro stesso universo intellettivo e creativo, scoprendo valori diversi e punti di vista che, se integrati o adottati per alcune forme di organizzazione, potrebbero rivelarsi molto più funzionali e per così dire moderni di quelli a cui ci vincolano le nostre consuetudini sociali.
Un giorno un amico dopo avermi mostrato le figure del qi gong – una specie di danza in cui il respiro si armonizza completamente coi movimenti del corpo finché la propria energia interna e quella esterna fluiscono insieme – mi raccontò di aver avuto un’esperienza molto intensa. Una mattina presto, disponendosi a quel lungo esercizio di respirazione davanti alle montagne sentì di non appartenere più allo spazio in cui si trovava. Nel silenzio, man mano che completava i movimenti, aveva la percezione di essere trascinato via. Se si raggiunge un elevato grado di concentrazione, mi disse, si riesce a sentire cosa sta accadendo nel bosco in quel preciso momento. Questo racconto mi toccò subito moltissimo e non ne ho mai dubitato. Certo, immersi come siamo adesso in un’atmosfera tanto straniante che calpesta con spietato cinismo ogni pur minima concessione a un’idea di trascendenza, suona come qualcosa di inconcepibile. Tale episodio mi trasmise con straordinaria chiarezza quanto tutti i viventi siano legati in profondità. E vi ho riscontrato pure non poche assonanze con il ricordo di un evento culturale degli anni ’70, quando il libro La vita segreta delle piante di Peter Tompkins e Christopher Bird (edito in Italia da Il Saggiatore nel 2009) entrò nella classifica dei saggi più venduti stilata dal New Yorker. Il volume sosteneva l’idea che le piante fossero esseri senzienti, fini ascoltatrici di musica classica, artiste munite di una spiccata intelligenza tecnica (e torniamo pur sempre alla τέχνη, arte, in greco). Un misto di adattabilità, resistenza, lungimiranza “politica” che permette loro di volgere a proprio vantaggio situazioni complicate. E infine, anche un po’ sensitive. Il libro infatti rimarcava la caratteristica di percepire i pensieri di un essere umano con cui erano venute in contatto o che si era preso cura di loro perfino a centinaia di chilometri di distanza. Questo passaggio soprattutto mi riportava al concetto di unisono che l’esperienza appena descritta aveva con così tanta forza riversato in me. Se il fatto che il libro sia diventato un bestseller nel giro di qualche settimana si spiega come fenomeno di costume ascrivibile al diffondersi delle pratiche new age nella società americana, è pur vero che qualcosa di quell’impianto ha sfidato il tempo superando le aspre critiche degli scienziati di allora. Oltre al merito di aver guadagnato proseliti alla causa della botanica, nell’epoca delle macchine considerata non di rado uno studio da eccentrici, non è esagerato riscontrare nell’esposizione dei due scrittori il seme – quale metafora più appropriata! – di una disciplina che molti anni più tardi si è proposta di studiare le capacità sensibili delle piante, nota col nome di neurobiologia delle piante. Uno dei suoi più illuminati e illuminanti divulgatori è Stefano Mancuso, fisiologo vegetale dell’Università di Firenze, autore di libri capaci di avvicinare e coinvolgere lettori non specialisti, che esorto vivamente a leggere.
In un ipotetico parallelo tra società delle piante e società umana, le piante battono l’uomo stracciando quasi l’avversario. L’essere umano ha infatti la mania di accentrare, di creare organizzazioni verticistiche fino a perire sotto il peso dell’inutilità delle proprie strutture. Ciò vale per il regno animale in genere, con la differenza che l’uomo dà vita a sistemi complessi perché più complessa è la sua intelligenza. Solo che in natura l’intelligenza non è necessariamente un vantaggio. Gli esempi attraverso cui gli uomini in preda a un’ipertrofica volontà di dominare finiscono puntualmente per essere intossicati si sprecano. Un’altra mania tutta umana è quella di ammantarsi di una presunta superiorità di specie in base alla quale si potrebbero modificare gli equilibri di natura a proprio piacimento e senza conseguenze. Anche qui gli esempi di esperimenti finiti male non si contano. Vediamo brevemente cosa è successo quando gli Olandesi decisero che la pianta dei chiodi di garofano era inutile. Arrivati alle Isole Molucche, sua terra d’origine, distrussero tutti gli alberi di Eugenia per far posto ad altre colture e per liberare spazio da destinare ad altre attività. Come s’intuisce dal nome, questi vegetali sono ricchi di eugenolo che si estrae anche dagli oli essenziali di cannella, noce moscata, basilico, alloro e anice stellato giapponese; si tratta di un antibatterico potente, con proprietà antispasmodiche e anestetiche. Una volta eradicate tutte, sulle isole si abbatterono continue epidemie che le resero invivibili. La natura ha fatto capire ai coloni chi comandasse veramente.
Nel suo libro La nazione delle piante Stefano Mancuso descrive moltissime situazioni che mettono a nudo l’inadeguatezza umana. Illuminante il capitolo sulla crescita incontrollata degli apparati burocratici, che continuano a lievitare anche in assenza di reali opportunità di lavoro, fino all’autodistruzione, specchio dell’orizzonte gerarchico entro cui l’uomo si muove. Ecco cosa dice l’autore al riguardo: «Ogni organizzazione gerarchica, infatti, evolve una sua burocrazia, ossia un gruppo di persone la cui funzione è di trasformare in consuetudine il meccanismo di trasmissione dei comandi attraverso i diversi livelli della gerarchia. La trasmissione da un livello all’altro della catena gerarchica, oltre che essere inevitabilmente soggetta ad errori, richiede del tempo, eliminando così la velocità di azione, ossia l’unico vero vantaggio ascrivibile ad una organizzazione centralizzata». (articolo 3, pagina 35)
Il sistema centralistico e verticistico dei modi in cui l’essere umano tende ad amministrare ogni cosa, gli deriva da come amministra se stesso, un derivato biologico si direbbe: il cervello è il nostro organo centrale, è lui il regista di tutto, quello che ci permette di risolvere i problemi ma anche il grande responsabile dei nostri molti dissidi. Le piante invece non hanno nessun organo centrale, i loro sensi hanno uguale potere contrattuale distribuiti come sono su tutto il corpo. Il loro è un modello di società diffusa, in cui i centri di potere sono più di uno, dunque un cosmo policentrico che vive di decisioni collegiali, e se una parte è in pericolo o riporta un danno, ci sarà un doppio – supponiamo un duplicato del cuore, del cervello e della vista – che le permetterà di recuperare l’infortunio.
Anche in questo caso, dopo aver letto il libro di Mancuso e diversi articoli d’intonazione simile, mi è accaduto un episodio davvero bizzarro cui non avrei dato peso senza essermi documentata a queste fonti. La mia amarillys, regalo di un’amica greca innamorata di questa pianta fin dalla gioventù, aveva avuto uno sviluppo velocissimo – cosa questa che mi era stata predetta qualora si fosse ambientata bene. Ero molto felice, significava dunque che le ero piaciuta, ma allo stesso tempo mi preoccupava che potesse soffrire per il peso eccessivo. Purtroppo non pensai a metterle dei sostegni e così una mattina ho trovato uno degli steli dove già si affacciava la prima fioritura, accasciato sullo stendino. Non aiutata da me, aveva provveduto da sola ad atterrare sul morbido. Dalla sua posizione era l’unico punto raggiungibile per non rischiare che lo stelo si spezzasse. Da come è andata, si potrebbe dire che l’amarillys abbia “visto” lo spazio, che abbia percepito cosa ci fosse intorno a lei, calandosi dove potesse stare al sicuro.
Siamo davvero di fronte a creature prodigiose, animate da gusto estetico e uno studio invidiabile della tecnica. Delle perfette menti artistiche rinascimentali. E a proposito di arte… Da tempo ci si interrogava su come, finite le glaciazioni, le foreste si fossero rapidamente diffuse in ogni parte del mondo, isole comprese. Fu un’istallazione a Central Park di Christo e della moglie Jeanne-Claude, i maggiori rappresentanti della Land Art, a ispirare la teoria di Henry Horn, biologo di Princeton. Nel lunghissimo porticato costituito da 7500 passaggi – una perfetta galleria del vento – lo studioso si accorse che alcuni semi alati erano in grado letteralmente di intercettare le correnti d’aria coprendo distanze all’apparenza inimmaginabili. Si trattava soprattutto di quelli dell’acero e del frassino, architetture eccezionali, veri oggetti di design, sbalorditivi congegni leonardeschi.
In conclusione, avvicinare la vita delle piante significa confrontarsi con tantissimi aspetti del nostro stesso universo intellettivo e creativo, scoprendo valori diversi e punti di vista che, se integrati o adottati per alcune forme di organizzazione, potrebbero rivelarsi molto più funzionali e per così dire moderni di quelli a cui ci vincolano le nostre consuetudini sociali.
(Di
Claudia Ciardi)
*In copertina: Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1472-1475 circa
dettaglio: “l’albero impossibile”
*Per la rubrica «Arboreto salvatico»
Riferimenti:
Michael Pollan, L'intelligenza delle piante, «The New Yorker», pubblicato in versione italiana su «Internazionale» n. 1042, 12-20 marzo 2014
Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Laterza, 2019
Vittorio Caprioglio, Gli alberi ci insegnano ad avere radici e a volare, «Salute naturale», numero 269, settembre 2021
Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Laterza, 2019
Vittorio Caprioglio, Gli alberi ci insegnano ad avere radici e a volare, «Salute naturale», numero 269, settembre 2021
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